il Giornale, 12 agosto 2018
Siamo in mutande: 17 euro l’anno per comprare biancheria intima
Mettiamoci una mano sui calzini e chiediamoci: da quanto tempo non ne compro un paio di nuovi? Perché è stupefacente che la spesa dei maschi italiani per la biancheria intima sia stata, nel 2017, pari ad appena 17,08 euro in un anno intero. Cioè, appunto, a malapena il costo di un paio di calzini e, magari, di un fazzoletto. E ancora più stupefacente è che la spesa sia destinata a calare a 16,73 quest’anno fino a toccare gli abissi nel 2021 quando ogni maschio italiano spenderà appena 15,72 euro in mutande, pigiami e, appunto, calzini.
Per fortuna ci sono le donne: secondo i dati elaborati dal sito di datajournalism Truenumbers.it, hanno speso nel 2017, 36,59 euro per la biancheria intima, 9 euro in meno rispetto al 2010. Anche in questo caso la spesa è data in calo anche per i prossimi anni: spenderanno 33,35 euro nel 2021. Va alla grande, invece, la spesa degli italiani per magliette e canottiere (maschili e femminili): come per tutto l’intimo ha sofferto la recessione del 2012-2013, durante la quale gli italiani hanno tirato la cinghia su tutto e, quindi, anche sull’abbigliamento intimo, ma in questo caso siamo intorno ai 70 euro l’anno.
Eppure la voglia di spendere ci sarebbe: solo il 10% degli italiani, mediamente, dicono di avere negli armadi più capi di abbigliamento del necessario. Certo, ad esempio per i vestiti, la percentuale sale al 51% se si considerano gli italiani che sono molto d’accordo o abbastanza d’accordo e d’accordo con l’affermazione avete troppi capi di abbigliamento ma, per esempio, impressionante il fatto che il 39% degli italiani dice che non ha affatto troppe borse mentre il 66% afferma che non ha abbastanza scarpe da mettere.
E come soddisfare questa insopprimibile voglia di comprare? Beh, certamente per le scarpe la soluzione c’è: rivolgersi al low cost. Un altro dato impressionante è, infatti, quello sull’import di scarpe. Senza che ci facciamo troppo caso, infatti, ogni anno arrivano da Paesi a basso costo del lavoro una quantità spaventosa di paia di scarpe. La Cina, è in cima alla lista: 110 milioni e 365mila paia di scarpe invadono ogni anno i nostri negozi. Il fenomeno dell’import di abbigliamento a basso costo potrebbe essere una delle cause del calo della spesa in valore degli italiani. Ovvero: compriamo la stessa quantità di beni, ma a un costo minore: in questo modo il fatturato complessivo cala ma gli armadi restano pieni. Questo non succede solo per quanto riguarda l’abbigliamento intimo. Nel 2017 le donne italiane, infatti, per la prima volta, hanno speso in abbigliamento meno di 10 miliardi. Non era mai successo: si è arrivati a 9,9 miliardi. È un dato clamoroso. Un vero crollo, se si considera che appena 5 anni fa avevano lasciato nei negozi di abbigliamento 12 miliardi di euro. Calo della spesa anche per l’abbigliamento maschile: dai circa 8,5 miliardi del 2012 si è arrivati a 6,8 del 2017.
Eppure, nonostante questo, il fatturato globale delle imprese italiane aumenta. Secondo il Sistema Moda Italia potrebbe arrivare a un più 2,4% nel 2017 rispetto all’anno precedente, con un fatturato totale di 54,1 miliardi. Un miracolo possibile solo grazie alla crescita dell’export che sembra davvero inarrestabile. E anche in questo caso bisogna ringraziare le donne. Nel 2017 (dati provvisori) l’export di abbigliamento femminile (aggregato che comprende abbigliamento in tessuto, maglieria esterna, camiceria e abbigliamento in pelle) ha toccato gli 8,2 miliardi di euro e quello maschile ha fiorato i 6 miliardi. Entrambi questi numeri non erano stati raggiunti almeno dal 2012: anzi, quell’anno l’export maschile valeva appena 5 miliardi e quello femminile 6,8. Il risultato è stato un surplus eccezionale di 9,6 miliardi della bilancia commerciale.
Ma tutto questo provoca un paradosso: l’Italia importa abbigliamento low cost e esporta quello più costoso e di maggior pregio. Cioè: esportiamo quello che non possiamo più permetterci di comprare noi.