La Stampa, 11 agosto 2018
Silvia Candiani: «Per guidare Microsoft un robot avrebbe scelto un uomo, non me»
Da piccola, Silvia Candiani voleva essere una principessa o Marie Curie? «Entrambe, nella mia famiglia era scontato che non esistessero lavori da donna o da uomo». Oggi, a 48 anni, sposata e con due figli, è amministratore delegato di Microsoft Italia. Dopo Vodafone, McKinsey e San Paolo Imi, nel 2010 è entrata in Microsoft, e dal settembre 2017 è a capo di un’azienda che nel nostro Paese ha 850 dipendenti e oltre 10 mila partner.
Ma la tecnologia, si sa, è femminile solo per la grammatica. «Non è un caso che occupi questo posto - spiega Candiani -. Microsoft negli anni ha costruito percorsi di carriera per evitare che a parità di talento le donne fossero discriminate. In Europa è forte la presenza femminile, e ai livelli più alti le donne sono circa il 30%, ma gioca ancora il retaggio dei sistemi e dell’educazione».
In che senso?
«Dalle nostre ricerche è emersa una specie di pregiudizio di genere. Le ragazze si sentono meno capaci nelle discipline scientifiche: fino alle scuole medie la differenza non esiste, nasce verso i 14-15 anni. È un circolo vizioso, perché se una ragazza trovasse modelli femminili di successo nel settore della tecnologia e della ricerca sarebbe più stimolata a seguire quella strada. Oggi nelle università italiane la percentuale delle donne iscritte a facoltà scientifiche è bassa, il 20%. Ma il problema è ancora più ampio: siamo agli ultimi posti in Europa per numero di laureati, così da una parte mancano giovani con competenze specifiche e dall’altra dobbiamo affrontare un tasso di disoccupazione molto alto. Nei prossimi anni in Italia ci saranno 100 mila nuovi posti di lavoro legati all’information technology: se la situazione non cambia sono destinati a rimanere vacanti».
Ma lei ha studiato al liceo classico.
«Sì, e penso che la cultura classica possa aiutare anche nelle discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). La creatività e la filosofia sono importantissime, ma non possiamo più permetterci di ignorare la programmazione: il codice dovrebbe essere studiato in tutte le facoltà, anche umanistiche».
La colpa è della scuola?
«Una cosa è certa: se vogliamo innovare la scuola dobbiamo partire dagli insegnanti, e per questo da anni Microsoft collabora col Miur per inserire temi digitali nei curricula scolastici. La scuola italiana è sempre stata più attenta alle nozioni, non a sviluppare il pensiero critico, ma io penso che non serva imparare a memoria le date della storia, bisogna creare delle competenze. Le nozioni si trovano su Internet, quello che è importante è saper trovare la soluzione ai problemi, e lavorando insieme si riesce meglio. La figura dell’insegnante è fondamentale».
Cosa risponde a chi dice che nella scuola servirebbero invece piattaforme pubbliche, aperte a tutti?
«Credo che di fronte alla sfida della didattica possa funzionare solo un’alleanza tra pubblico e privato, non immagino che il ministero possa creare un portale di curricula digitali o scrivere un sistema operativo per computer. Windows è il sistema operativo che fa girare il 98% dei pc, alle scuole forniamo Office 365, siamo aperti all’interazione con le piattaforme di Apple e Google. A università e ricercatori offriamo il nostro servizio cloud non solo per immagazzinare dati, ma anche per sfruttare la potenza dell’intelligenza artificiale di Microsoft».
A proposito di intelligenza artificiale, il Ceo di Microsoft Satya Nadella crede che creerà nuovi posti di lavoro, altri invece pensano che li farà scomparire. Chi ha ragione?
«Dalle ultime rivoluzioni industriali sono nati più lavori di quanti ne siano stati perduti, e crediamo che sarà anche stavolta così. Call center, catene di montaggio e in generale impieghi poco qualificati saranno sostituiti dalle macchine. Ma i nuovi lavori richiederanno competenze diverse, e non solo tecnologiche: bisognerà riflettere sulla dimensione etica di questi cambiamenti».
Come si può evitare che i pregiudizi umani diventino quelli delle macchine?
«Se un’intelligenza artificiale oggi dovesse decidere chi assumere al mio posto sceglierebbe un uomo, perché al comando nelle aziende ci sono solitamente uomini. Dobbiamo fare in modo che non accada: nella nostra idea di intelligenza artificiale gli algoritmi devono essere trasparenti, la macchina deve poter mostrare il percorso seguito per arrivare a certe conclusioni. Per questo Microsoft partecipa a Open AI, un progetto non profit in collaborazione con altre grandi aziende e governi che mira a uno sviluppo eticamente corretto dell’intelligenza artificiale».
È finita l’era dei telefonini rosa per le donne?
«È la classica idea di marketing pensata da un uomo che crede di sapere cosa potrebbe piacere a una donna. Per le donne in generale la tecnologia ha senso se può essere usata nella vita di tutti i giorni per averne un vantaggio concreto. Non risolve tutti i problemi, ma può aiutarci a fare cose che altrimenti non saremmo in grado di fare».