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 2018  agosto 11 Sabato calendario

Il Dalai Lama è malato

Fonti indiane sostengono che il Dalai Lama è malato di cancro alla prostata, dicono che tra pochi giorni andrà in Svizzera per sottoporsi a radioterapia e concludono che «la sua vita non durerà molto». Il medico del sant’uomo smentisce le voci bollandole come «fake news». Ma siccome comunque il Dalai Lama ha 83 anni, le grandi manovre per il trapasso sono cominciate. 
Secondo indiscrezioni il governo di New Delhi si sta preparando alla fine del grande rifugiato, che ospita da 60 anni a Dharamsala con il «governo tibetano in esilio», e pensa di utilizzare la scomparsa del leader spirituale dei tibetani per migliorare i rapporti storicamente tesi con la Cina. Ad aprile il premier indiano Narendra Modi ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e secondo informazioni passate all’agenzia Nikkei gli ha rivelato le condizioni di salute del Dalai Lama e detto come cambierà l’atteggiamento dell’India dopo la sua morte.
Per motivi umanitari ma anche strategici l’India dal 1959, anno della fallita insurrezione contro il governo cinese in Tibet, ha accolto oltre 130 mila profughi, consentendo che a Dharamsala si costituisse il governo in esilio e si stabilisse in un tempio Tenzin Gyatso, il 14° Dalai Lama. Pechino non apprezza l’ospitalità indiana a quello che considera un leader separatista e feudale. Ora, per cercare di migliorare i rapporti con la Cina, Narendra Modi ha promesso a Xi Jinping una svolta: intanto il flusso dei rifugiati è quasi finito, con solo 57 nuovi accolti nel 2017; poi alla massa di tibetani in India è stato consigliato di chiedere la cittadinanza; e al governo tibetano in esilio è stato suggerito di abbassare il profilo per non turbare oltre misura Pechino. In cambio, Modi conta che diminuisca la pressione militare cinese sulla lunga frontiera himalayana contesa tra i due giganti dell’Asia.
Il 14° Dalai Lama ha abbandonato da tempo ogni ruolo politico, forte del suo prestigio come leader del buddismo tibetano e del Nobel per la Pace che gli è stato conferito nel 1989. È fatale che il 15° Dalai Lama non possa avere la sua stessa forza carismatica e quindi la causa tibetana sarà meno affascinante, anche per gli occidentali probabilmente. Se ne rende conto anche Sua Santità, che già nel 2014 è arrivato a ipotizzare la fine dell’istituzione, dopo la sua morte terrena, e ha invitato i seguaci a non cercare la sua reincarnazione. Nessun 15° Dalai Lama significherebbe cristallizzare il tempo del Tibet all’era del 14°, fermando i tentativi cinesi di trovare un successore gradito. E difatti Pechino ha risposto a mezzo stampa alla sortita di Sua Santità: «Nella storia la reincarnazione del Dalai Lama non è mai stata una questione puramente religiosa nè tanto meno personale. Il buddismo tibetano non appartiene al Dalai... lui invecchia e si preoccupa per il suo governo in esilio, sempre più irrilevante, per questo cerca pubblicità con il discorso sulla fine della reincarnazione», scrisse il Global Times, quotidiano nazionalista cinese sostenendo che «la decisione sulla reincarnazione spetta a Pechino» (dichiarazione sorprendente per un governo che si proclama ateo).
Vere o «fake» che siano le notizie sulla malattia grave, il Dalai Lama l’8 agosto ha tenuto un discorso che ha acceso il dibattito storico a New Delhi.
Il leader tibetano ha sostenuto che la divisione sanguinosa tra India e Pakistan nel 1947 fu colpa di Nehru, che «per egocentrismo» non accolse il suggerimento di Gandhi di designare premier unitario il musulmano Mohammed Ali Jinnah, quando i britannici concessero l’indipendenza. Di fronte alle polemiche e alle accuse di ignoranza il Dalai Lama, che pure conobbe bene Nehru il quale da primo ministro indiano lo accolse nel 1959, ha chiesto scusa. E subito ha donato al mondo questo pensiero psicologico e spirituale: «L’uomo sacrifica la salute per arricchirsi. Poi sacrifica la ricchezza per recuperare la salute. E diventa così ansioso sul futuro da non godere del presente, così non sa vivere né nel presente né nel futuro. Vive come se non dovesse mai morire e poi muore senza aver davvero vissuto».