Corriere della Sera, 11 agosto 2018
Perché li chiamiamo «scemi di guerra»?
Caro Aldo
a proposito della prima guerra mondiale, tempo fa la sentii parlare, in una trasmissione, di «scemi di guerra». Mi potrebbe rinfrescare la memoria?Carlo Girola
Caro Carlo,
Anche chi sopravvisse alla Grande Guerra non fu più lo stesso. Per resistere in trincea, tra i topi, il fango, il tifo, i corpi dei compagni insepolti, bisognava uscire al di fuori di se stessi, bisognava dirsi: «Io non sono qui, sono da un’altra parte». Non tutti riuscirono a rientrare dentro se stessi; e impazzirono. Non c’erano cure per le loro malattie, non c’erano neppure i nomi per definirle; infatti furono chiamati «scemi di guerra». C’è un bel libro, «Ammalò di testa», scritto da Annacarla Valeriano, che ha trovato negli archivi del manicomio di Teramo le storie dei ricoverati. Molti fanti, «regrediti a uno stato infantile», sono tornati bambini. Giuseppe R., 19 anni, resta a letto tutto il giorno con gli occhi sbarrati e chiama il padre: «Papà, papà, dove sta papà, vieni, vieni». Anche Francesco C. grida di continuo «papà papà papà». Ernesto R. si rivolge invece alla madre: non mangia e non dorme, piange e la invoca sempre. Vito G. non risponde alle domande, singhiozza e ripete: «Oh mamma, oh mamma, debbo parlare col re per la mamma mia». Guerino C. invece respinge la visita della madre: «Maledetto il tuo latte che mi desti e la nascita!». Altri rivivono la battaglia, gridano ordini, riproducono con la bocca il rombo del cannone, si accovacciano come per ripararsi dalle bombe, si lanciano in fughe improvvise come se avessero di fronte il nemico. Antonio B., «aspetto di persona che ha molto sofferto, un giovane magro, pallido, anemico», declama le proprie gesta sul San Michele, «con evidente sentimento esagerato della propria personalità». Gustavo C. vede aeroplani nemici dappertutto, mentre un marinaio che ha prestato servizio a Valona, in Albania, dice di continuo: «Sottomarino a mare, uf-uf-uf! Uf-uf-uf, i sottomarini!». Angelo C. invece passa tutta la giornata a contare: uno, due, tre… Gli chiedono: «Angelo, cosa conti?». E lui risponde: «Non vedi? Conto i morti». Era il fante incaricato di contare i corpi dei compagni caduti in battaglia, ed era impazzito. Era uscito al di fuori di se stesso, e non era riuscito a rientrare.