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 2018  agosto 11 Sabato calendario

Secondo le stime del governo italiano, il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico porteranno a un rapporto deficit pubblico/ Pil per il 2018 pari allo 1,6- 1,7 per cento

Secondo le stime del governo italiano, il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico porteranno a un rapporto deficit pubblico/ Pil per il 2018 pari allo 1,6- 1,7 per cento. Si tratta di un valore che, pur se molto maggiore rispetto al rapporto tendenziale previsto dal Documento di Economia e Finanza ( Def) di pochi mesi fa, appare compatibile con una riduzione del rapporto debito pubblico/ Pil rispetto al 2017 e – forse – con un’incidenza del deficit strutturale (ossia corretto per l’andamento congiunturale) vicina all’ 1%. Queste aride cifre vanno tenute ben presenti perché servono a valutare la portata degli impegni assunti dal ministro dell’Economia e la credibilità delle dichiarazioni effettuate dai due vice- presidenti del Consiglio in merito alla Legge di bilancio per il 2019.
Il ministro dell’Economia ha dichiarato che la prossima manovra di bilancio, di ammontare pari a circa 25 miliardi di euro, non peggiorerà i saldi strutturali e permetterà di continuare nella riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil. Inoltre, egli ha auspicato il rilancio della crescita mediante una politica di investimenti pubblici che inverta una tendenza restrittiva più che decennale. I due vicepresidenti del Consiglio hanno concordato sul fatto che tale manovra non farà scattare le clausole per l’aumento dell’Iva ( pari a 12,4 miliardi di euro), non eliminerà gli 80 euro per i redditi medio- bassi decisi dal governo Renzi e modificherà le attuali regole pensionistiche introducendo la cosiddetta soglia 100 ( almeno 64 anni di età anagrafica e 36 anni di contributi). Il ministro Di Maio ha poi aggiunto che, nel 2019, saranno varati i primi” assaggi” del reddito di cittadinanza; e il ministro Salvini ha ribadito che, contemporaneamente, si avvierà il nuovo sistema fiscale ad aliquota doppia o singola. Anche una valutazione minimalista di questi impegni, basata su specifiche valutazioni prudenziali che sono state espresse da esperti filogovernativi nelle diverse materie, pone in luce che i conti non tornano.
Si parta dall’elenco delle spese aggiuntive per il 2019. Ai 12,4 miliardi richiesti per evitare gli aumenti dell’Iva, si devono almeno sommare le seguenti voci: 5 miliardi di euro per attuare un’applicazione selettiva e, come tale, problematica della soglia 100 al sistema pensionistico; altri 7 miliardi per lanciare la prima fase del” reddito di cittadinanza”, rendendo operativi i centri pubblici per l’impiego ed estendendo la platea dei beneficiari del reddito di inclusione e di altre forme di sostegno sociale; 5 ulteriori miliardi per effettuare i primi cambiamenti del regime fiscale, accrescendo i beneficiari ( piccoleimprese, artigiani, professionisti) del sistema forfettario al 15% e applicando una nuova aliquota minima ai redditi più bassi soggetti a tassazione.
Questo primo elenco di spese ammonta già a quasi 30 miliardi di euro. Si aggiungano: l’insieme di spese non dilazionabili perché legate a impegni pregressi ( circa 4 miliardi); i prevedibili, anche se difficilmente quantificabili, esborsi pubblici per la soluzione ( temporanea) di Ilva, Alitalia e di altri focolai di crisi industriale o finanziaria; i costi derivanti dalla condivisibile proroga degli incentivi per gli investimenti privati innovativi; i finanziamenti per l’auspicabile rilancio degli investimenti pubblici. Il conseguente totale delle spese, da includere nel bilancio del prossimo anno, arriva così ai 40 miliardi di euro. A tale totale va sommata la correzione del bilancio pubblico italiano, richiesta dalla Commissione europea per il 2019: lo 0,6% del Pil, pari a circa 10 miliardi di euro. Al Consiglio europeo di giugno scorso, il nostro presidente del Consiglio ha infatti sottoscritto le conclusioni finali che accolgono le proposte della Commissione europea relativamente alle eventuali correzioni dei bilanci degli Stati membri.
A fronte di spese totali che ammontano a circa 50 miliardi di euro, il governo italiano propone di: ridurre le agevolazioni, le deduzioni e le detrazioni fiscali; azzerare il tasso di aumento nominale di molte voci di spesa corrente; effettuare ulteriori tagli non lineari di spesa; realizzare un condono fiscale che escluda i grandi evasori. Peccando di ottimismo, nel 2019 queste iniziative arriveranno appena a coprire la spesa per non aumentare l’Iva. È peraltro probabile che il ministro dell’Economia intenda: attribuire la metà della spesa annuale per il reddito di cittadinanza al Fondo sociale europeo; scaricare sulla Cassa Depositi e Prestiti gran parte dei costi delle probabili crisi aziendali; dilazionare gli aumenti degli investimenti pubblici anche sfruttando le inefficienze amministrative; ottenere dalla Commissione europea un drastico taglio nella correzione per il 2019. Il governo italiano varerebbe così una manovra pari a poco più di 30 miliardi di euro, finanziata in deficit per oltre 17 miliardi di euro. Una tale manovra rischia il naufragio perché elude cruciali problemi nazionali e molte regole europee. Se fosse comunque realizzata, essa porterebbe a un rapporto deficit pubblico/ Pil per il 2019 non inferiore al 2,5%. Questo rapporto sarebbe forse compatibile con una ( pur se inadeguata) riduzione del rapporto debito pubblico/ Pil, ma lederebbe l’altro impegno del ministro Tria: il non peggioramento dei saldi strutturali.