la Repubblica, 11 agosto 2018
L’estate calda di Ryanair
Michael O’Leary, il padre- padrone di Ryanair, era stato categorico. «Piuttosto che riconoscere i sindacati mi taglio una mano», aveva detto urbi et orbi qualche tempo fa. E per dimostrare che non scherzava aveva sfondato di persona un picchetto di addetti ai bagagli in sciopero per caricare un aereo. Il tempo gli ha dato torto: qualche mese fa – per evitare lo stop ai voli di Natale – è stato costretto ad accettare di negoziare con piloti e hostess. E il caos – causa sciopero – nei voli di ieri ha confermato che anche l’asso pigliatutto dei cieli europei dovrà imparare a cambiar pelle per sopravvivere.Il modello low cost, intendiamoci, è tutt’altro che in crisi. Ryanair ha trasportato tra aprile e giugno di quest’anno 413mila persone al giorno, il 7% in più del 2017 e ha guadagnato 3 milioni ogni 24 ore. Quasi tutte le compagnie mondiali, in un modo o nell’altro, hanno copiato le idee della rivale irlandese, esportandole pure sui voli a lungo raggio. O’Leary però ha ora un doppio problema: ottenere una tregua sindacale senza snaturare l’anima della compagnia: i prezzi da saldo che le hanno consentito fino a oggi di sbaragliare la concorrenza. Il rebus dei rebus in una società dove i diritti dei lavoratori vengono contrapposti sempre più spesso a quelli dei consumatori.La ferita lasciata dai disagi di queste ore faticherà a cicatrizzarsi. È il periodo delle ferie, lo sciopero ha mandato gambe all’aria le vacanze di molti passeggeri. E convincerli a prenotare di nuovo con Ryanair non sarà una passeggiata. L’unica arma a disposizione del vettore di Dublino è sempre la stessa: quei 39 euro di costo medio a biglietto che restano una sirena tentatrice anche per chi è stato già lasciato a terra una volta. «Noi non faremo altre concessioni ai piloti» ha detto O’Leary una settimana fa. Possibile sia costretto a smentirsi a stretto giro di posta anche questa volta. La linea dura adottata finora – con la minaccia di sostituire i comandanti in sciopero o quella ( attuata) di spostare parte dei servizi da Dublino in Polonia – non ha pagato. I sindacati hanno messo il piede nel portellone e chiuderlo lasciandoli fuori è quasi impossibile, pena un caos che creerebbe danni d’immagine irrecuperabili. Il falco irlandese dovrà quindi reinventarsi colomba e accettare – nella logica di un dialogo tra le parti – un compromesso a metà strada. Pilotando probabilmente Ryanair verso un modello più simile a quello di Easyjet.Se finirà così, lo sciopero dei dipendenti Ryanair sarà una piccola pietra miliare in un mercato del lavoro in piena metamorfosi dove il coltello dalla parte del manico ce l’ha quasi sempre chi il lavoro lo dà. I piloti dell’aerolinea irlandese, con tutte le peculiarità di una professione come la loro, contestano i contratti precari, le lettere d’assunzione firmate attraverso” agenzie di collocamento” che danno zero garanzie, i diktat di un’azienda che non solo decide se e quando farti lavorare, ma anche dove, con improvvisi cambi di sede senza quasi preavviso. Fatte le debite proporzioni, gli stessi problemi degli interinali assunti dalle grandi aziende hi-tech e della sharing economy che cavalcano la disintermediazione e l’extra-territorialità ( anche fiscale) per dribblare i diritti e ridurre al massimo tasse e spese. In un mondo dove tutto è low cost tranne gli utili e i patrimoni degli azionisti. Il braccio di ferro tra O’Leary e i sindacati è un sasso – per ora piccolino – in questo stagno. Se si arriverà a una soluzione di compromesso e alla pace sociale, forse ci toccherà pagare qualche euro in più per volare su un aereo della Ryanair. Come consumatori potremmo anche dispiacercene. Come cittadini, magari, no.