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 2018  agosto 11 Sabato calendario

Il metodo Repubblica (Travaglio risponde a Bonini)

Ieri su Repubblica è uscito un commento di C.B. (lo chiamo così perché mi accusa di “storpiare i cognomi” e non vorrei cadere in tentazione). Titolo: “Il metodo Travaglio 10 anni dopo”. Svolgimento: “L’ex dipendente del Gruppo editoriale l’Espresso, Marco Travaglio, ora direttore del Fatto Quotidiano, coltiva un’ossessione per Repubblica che non conosce requie”. La mia “ossessione” è dimostrata dal mio articolo di giovedì, in cui citavo titoli e perle di vari giornaloni, fra cui Repubblica, dedicati al presunto complotto via Twitter per rovesciare Mattarella ordito da eversori italiani e internazionali (in particolare russi) con falsi profili social, identici o simili a quelli che già avrebbero truccato il referendum costituzionale 2016 e le elezioni del 4 marzo. Partiti per suonarle a Putin, troll russi e utilizzatori finali pentastellati, i giornaloni sono finiti suonati: cioè costretti ad ammettere che i social che rilanciarono la campagna “Mattarella dimettiti” avviata da Di Maio erano di fan 5Stelle (non russi, ma perlopiù italiani), com’era ovvio e naturale. C.B. se n’è avuto a male e mi richiama all’ordine, ricordandomi di essere stato “dipendente” del suo Gruppo. È, questa, l’unica cosa vera del suo articolo: in effetti lavorai a Repubblica dal 1998 al 2002, e furono i peggiori anni della mia vita, infatti me ne andai dopo averne viste di tutti i colori (anzi, di uno solo). L’idea che chi lavora per un’azienda debba esserle grato a vita denota una concezione vagamente mafiosa della libertà, tipica infatti dei berlusconiani che nel ‘94 presero a insultare Montanelli perché osava criticare B. dopo averlo avuto come editore. Naturalmente Repubblica è un grande giornale, pieno di bravi colleghi, e ancor più l’Espresso, il suo cugino monello, cui collaborai per 12 anni senza mai subire (diversamente che a Repubblica) alcuna censura grazie a direttori come Rinaldi, Hamaui, Manfellotto e Vicinanza. Il guaio di Repubblica, oltre alla puzza di sacrestia (laica e “de sinistra”, ci mancherebbe) che vi si respira, sono molti capi e capetti totalmente impermeabili al senso dell’umorismo e dunque del ridicolo, che incedono col ditino alzato portando a spasso le loro teste come i sacerdoti il Santissimo, convinti che la ragione stia sempre da una parte (il partito o la corrente o il leader che in quel momento essi, o meglio i loro editori, hanno investito della sacra missione di governarci) e il torto sempre dall’altra (tutti quelli che si mettono di traverso sulla strada del loro partito, o corrente, o leader: i “fascisti”). Per loro le notizie non sono tutte uguali né si misurano dalla loro importanza. Ma dal loro colore, cioè dalla convenienza o sconvenienza per la Causa.
Me ne resi conto quando ci lavoravo, ma anche dopo. Per esempio nel 2008, quando Repubblica incappò in un infortunio – diciamo così – che C.B. diffusamente ricorda, scordandosi però di spiegare come nacque e come finì. Invitato da Fabio Fazio a presentare un libro su Rai1, ricordai che l’allora presidente del Senato, Renato Schifani, aveva avuto rapporti amicali e societari con personaggi poi finiti nei guai per mafia. Repubblica – per la penna di un collega che non nomino perché non c’è più e io, diversamente da C.B., rispetto i morti – mi attaccò per dire che le mie accuse erano vecchie e archiviate (non era vero: Schifani fu subito dopo reindagato per mafia, e lo rimase a lungo); per smontare il presunto “metodo Travaglio”; e per insinuare che un mafioso avesse pagato le mie ferie in Sicilia. Dimostrai sia di aver raccontato fatti veri sia – ricevute alla mano (disponibili sul web) – di aver pagato le mie vacanze fino all’ultimo cent. L’incidente si chiuse anni dopo con un chiarimento fra me e il collega che di lì a poco sarebbe scomparso. Se C.B., nella sua seduta spiritica a mezzo stampa, avesse ricordato la genesi e l’epilogo del fattaccio, avrebbe dovuto spiegare non il metodo Travaglio, lo stesso di ogni cronista onesto: fatti, documenti, memoria e archivio. Ma il “metodo Repubblica” che monta e smonta, gonfia e sgonfia le notizie secondo l’interesse politico del momento. E allora, per motivi a me ignoti (il pentito Francesco Campanella da Villabate, sodale di Schifani, spiegò ai pm gli interessi in zona di un amico di un editore di Repubblica), il Gruppo voleva tenersi buono Schifani. E pure il sottosegretario Gianni Letta, addetto a finanziare i giornali. I due ras del centrodestra erano pressoché intoccabili, il che contribuì nel 2009 a indurre altri “ex dipendenti del Gruppo” a liberarsi e a passare al Fatto.
Ora, per comprensibili motivi, C.B. non riesce proprio a concepire un giornale libero, dove le notizie si danno tutte, chiunque riguardino e a chiunque convengano. Crede che siamo tutti come lui e ci attribuisce “folgorazioni per i 5Stelle e la Casaleggio”, che definisce i nostri “nuovi padroni” (senza peraltro indicare i vecchi, né spiegare i nostri scoop sulle spese pazze di Di Maio, sul suo incontro con Marra, sulle omissioni nel curriculum della Raggi che la fecero indagare per la prima volta, sulle polizze di Romeo che la indicava come beneficiaria ecc.). Già che c’è, il nostro Linosotis mi dà lezioni di bonton sul “grammelot fascistoide” che userei per la “bastonatura” dei “reprobi di turno” con “locuzioni mascella in fuori (‘mecojoni’)”. In effetti, per commentare lo scoop di C.B. sui siti M5S che rilanciano le campagne M5S, avevo scritto “mecojoni!”. Ma credevo si potesse, da quando C.B. accusò la Raggi di “cojonare i romani”. Prendo atto che “cojonare” è lecito e “mecojoni” no. Mi scuso se ho fatto arrossire C.B. Non lo faccio più. Temo invece che continuerò a tenere un archivio di documenti e “ritagli di giornale”, anche se la cosa irrita C.B.. È un vizio di noi giornalisti fascistoidi per ricordarci le cose. Che ora mi consente di smontare il penoso tentativo di C.B. di smarcarsi dalla campagna sui troll russi contro il Colle: “Travaglio frulla il tutto e fa dire a Repubblica
quel che non ha mai scritto: Putin dietro l’aggressione a Mattarella… Repubblica
non cita mai la Russia di Putin né la fabbrica dei troll di San Pietroburgo”. Che strano. Eppure conservo tre pezzi di Repubblicanell’ultima settimana intitolati: “Dalla propaganda di Putin 1500 tweet per Lega e 5Stelle”, “Una pioggia sui social in arrivo da San Pietroburgo”, “Il Pd nel mirino dei troll russi”. Non “ritagli di giornale manipolati a sostegno di una tesi”: ma articoli stampati su carta di Repubblica (che “frulla”, lei sì, casi diversi – lo scandalo Manafort e il caso Mattarella – per montare la panna, “intossicando”, lei sì, l’opinione pubblica che finisce per non distinguere più il vero dal falso). Più un pezzo di Repubblica.it sui tweet anti- Mattarella “dietro i quali si sospetta possa esserci l’azione dei russi”. Non vorrei che C.B., in crisi di identità, confondesse il metodo Travaglio col metodo C.B.. Ricordo quando, sull’accusa a Woodcock e Sciarelli di spifferare notizie su Consip al Fatto, C.B. annunciò l’“inevitabile redde rationem tra due metodi – quello ‘Woodcock’ e quello del procuratore Pignatone – …e due culture della giurisdizione agli antipodi”. Poi fu tutto archiviato: nessuna notizia passata al Fatto, nessun metodo Woodcock. O quando, sempre su Consip, annunciò che il capitano Scafarto era stato “smascherato come impostore e falsario di passaggi politicamente significativi dell’inchiesta”; e aveva “consegnato a Marco Lillo la notizia del coinvolgimento di Del Sette”, insomma era lui “la mano che dà da mangiare al Fatto” per “far cadere Renzi” (fra l’altro già caduto da solo). Poi, quando la Cassazione scagionò Scafarto per i suoi “errori involontari”, gli cadde la penna di mano e si scordò di informarne gli eventuali lettori. O quando sparò in prima pagina: “M5S, le chat che smentiscono Di Maio. Scrisse a Raggi: ‘Marra è uno dei miei’”, “Di Maio garante di Marra. Ha mentito, la prova è nelle chat.”. Poi si scoprì che le chat Di Maio-Raggi su Marra erano state manipolate da Repubblica e altri giornali col taglia e cuci per far dire al capo 5S il contrario di quanto diceva. Sarà mica per questo che C.B. ha tanto in uggia gli archivi?
Ps. Nella prossima seduta spiritica, potrebbe domandare al collega scomparso perché negli ultimi mesi non firmava più i pezzi con lui e gli aveva levato il saluto. Per il metodo Travaglio, o per il metodo Woodcock, o per il metodo C.B., o per il metodo Repubblica? Ah saperlo.