Libero, 10 agosto 2018
Marilyn Monroe era autistica?
Pazza; schizofrenica; borderline; bipolare. Infinite ipotesi sono state fatte su Marilyn Monroe, ma una più di tutte sconvolge oggi chi credeva di sapere tutto sulla diva: era autistica.Non esiste luogo al mondo, per quanto sperduto sia, che non ospiti la sua immagine in almeno una delle infinite pose in cui sia stata immortalata. Quello spermatozoo che si è fatto strada a forza verso l’ovulo, poiché non era desiderio dei genitori concepirlo, è divenuto un’icona pop la cui fisionomia è familiare a chiunque. Da bimba bistrattata, abbandonata e ripudiata, a diva ambita da chicchessia. Perbacco, quanta strada fece su quei tacchi a spillo che non fu mai libera di levarsi: l’unico modo per nascondere la vulnerabile e ingenua Norma Jeane (suo nome di nascita) era infatti quello di travestirla con una divisa d’ordinanza fatta di sovrastrutture di ogni genere, nelle quali il mondo la identifica: passo ancheggiante, rossetto rubino, permanente impeccabile, leziosità studiata, chioma biondo platino. Era piena di contraddizioni, Marilyn, eppure anche per questo la si amava: rifuggiva dalla solitudine, ma odiava avere gente attorno; aveva paura del rifiuto eppure lo esercitava su chi l’amava; era stata abusata, ciononostante era schiava di un sesso che praticava solo in posizione verticale, perché stare distesa la rimandava alla notte, che temeva non finisse mai, soffocandola in un’angoscia che si espandeva a dismisura.
ESTENUANTI ATTESE
Il mondo intero bramava ad averla accanto, tuttavia, coloro che c’erano riusciti, si dicevano intolleranti a lei e a quelle estenuanti attese alle quali sottoponeva colleghi e registi. Questa sua odiosa prerogativa le costò perfino l’accusa di omicidio, come sosteneva l’ultima moglie di Clark Gable, la quale attribuiva all’attrice la morte del marito che, a suo dire, si sarebbe ammalato a causa di un cedimento nervoso dovuto ai suoi inaccettabili ritardi su set de Gli Spostati (1961). «Ansia da prestazione e paura del palcoscenico», le truccatrici con le quali la diva si raccontava nei camerini si dicevano certe che fosse tutto da ricondurre a questo, ma esse verranno smentite qualche decennio dopo, quando il dottor Ralph Greenson, psicanalista della Monroe, renderà pubbliche le registrazioni vocali della sua paziente, dove ella si confida così: «Quando ritardi puoi essere sicura che, al di là di quella stanza in cui ti chiudi per sottrarti alla realtà, ci sia qualcuno che ti attende; che spera nel tuo arrivo. È la certezza che sei voluta, desiderata». Solo alla sua nascita arrivò puntuale. Erano le 9.30 del mattino – proprio l’ora in cui la giornata si mette in moto – e ad aspettarla trovò una madre che non la volle mai del tutto, e alla quale fu sottratta perché ritenuta incapace di prendersene cura a causa dei suoi disturbi psichici: gli stessi problemi mentali che affliggevano anche buona parte del suo ceppo familiare e dai quali l’attrice si disse sempre atterrita, un giorno, di essere sopraffatta anche lei. Quante fragilità in un’icona tanto indistruttibile da sopravvivere oltre una morte avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite, forse per avvelenamento da quei barbiturici di cui aumentava di giorno in giorno le dosi, per contrastarne l’assuefazione. La sua personalità complessa e a tratti dannata è stata ricondotta alle ipotesi più svariate: una di esse vuole che l’attrice fosse bipolare, e a suffragarne la tesi intervengono le sue frequenti oscillazioni dell’umore e la ninfomania che partoriva fantasie sessuali quali amplessi in pubblico, come raccontò a Greenson in una delle tante sedute di psicanalisi. Ma adesso, con grande sorpresa di tutti, a quel suo carattere avvolto dal mistero si aggiunge lo spettro dell’autismo, come riferisce Liliana Dell’Osso nel suo libro scritto assieme a Riccardo Delle Luche, dal titolo L’altra Marilyn. Il testo si basa su ricerche scientifiche che si sono svolte come una vera e propria autopsia mentale, dalla quale sono emerse sfumature insospettate.
MASCHERA DI DOLORE
L’autrice, la quale è anche direttrice della clinica psichiatrica dell’università di Pisa, intervistata da Vanity Fair, racconta: «Non immaginavo che questa donna fosse così malata, e mi sono chiesta come una persona in queste condizioni potesse costruire un personaggio tanto duraturo e iconico. Dietro questa maschera seduttiva, si nascondeva una persona con tratti autistici. Che sia morta per omicidio o che sia stata fatta uccidere conta poco, comunque è morta a causa della sua psicopatologia». Effettivamente, dimentichiamo spesso di come l’unico fenomeno sul quale sarebbe interessante indagare non sia tanto la morte di Marilyn, quanto la sua vita eterna che, ancora oggi, la rende onnipresente in una cultura nella quale nemmeno la più seducente venere dello schermo riuscirebbe a scalzare il ricordo di quel concentrato di fascino malizioso, mescolato ad ataviche fragilità che non la ostacolarono nella conquista di una celebrità ottenuta proprio con quella insistenza caratteristica delle personalità affette da autismo, alla perenne e ossessiva ricerca della perfezione. «Sembrava che, a morderla, ne uscissero latte e miele», disse qualcuno, un tempo, di lei. E la vita l’ha morsa tante di quelle volte che il miele venuto fuori dagli squarci delle sue ferite è colato addosso anche alle nuove generazioni, appiccicandosi con una tenacia tale che, a 56 anni dalla sua scomparsa, è ancora lei la più bella di tutte.