Libero, 10 agosto 2018
L’ultima moda: diventare liquidi dopo la morte
Già dà fastidio sapere di dover morire senza però sapere quando, ma almeno, essendo morti, abbiamo il vantaggio di non sapere, se non per sommi capi, che cosa ne faranno di noi. Se conoscessimo il nostro ultimo destino nei dettagli, scapperemmo a gambe levate anche da morti, per l’orrore. Ed è qui che si gioca la partita dell’acquamazione: un sistema che promette una sparizione dolce, utile, un ritorno quasi soave in seno alla natura: diventare un guazzetto lieve, chiaro e nutriente. Niente vermi, niente puzza, e nemmeno fiamme che sembrano quelle dell’inferno. L’acquamazione, infatti, è un procedimento per cui il corpo del defunto viene inserito in una vasca di acciaio inossidabile piena di acqua e idrossido di potassio o di sodio, rimane lì per quattro ore circa alla temperatura minima di 93 gradi centigradi. Questo composto, riscaldato ma non portato all’ebollizione, in cui viene immerso il corpo, causa la perdita delle proteine e dei grassi. E quel che ne rimane è un liquido color caffè che contiene amminoacidi, peptidi, zuccheri e sali. Trascorso il tempo necessario, flup: il guazzetto viene separato da tutto ciò che rimane, ossa e otturazioni dentali (e, se il defunto ne era provvisto, pure il pacemaker e eventuali protesi in titanio). Non rimane alcuna traccia di Dna e i resti liquidi, che sono materia organica, possono essere riciclati come fertilizzante naturale. Inizialmente commercializzata come mezzo per decomporre rapidamente le carcasse degli animali, l’acquamazione è stata successivamente adottata dai laboratori scientifici per smaltire i corpi contaminati da malattie. Ma poi è toccato agli esseri umani, nel 2009, in Australia: “l’Aquamation Industries” di Gold Coast, nel Queensland, ha venduto questo sistema come “sepoltura verde” per le persone. E quindici Stati americani sono seguiti a ruota. Gli altri incontrano resistenze soprattutto da parte della Chiesa Cattolica e delle lobby dei produttori di bare. Anche se lo spettro di ciò che è ‘moralmente accettabile’ si sta ampliando, infatti, molti parlamentari contrastano la pratica con dichiarazioni al limite: «Mettiamo corpi nell’acido e li lasciamo dissolvere. E poi scaricheremo nei canali di scolo», ha detto il rappresentante dell’Indiana Dick Hamm. Gli hanno fatto eco il repubblicano Mike Kappler: «Non vorrei mai navigare in un lago di acque luride dove finirebbero i resti liquidi di un mio parente». Ma lo slogan che propone la ‘morte a impatto zero’ è il lato sexy del nuovo modo di ‘non conservarsi’ ed è qui che premono le ditte sul mercato. In America ogni anno si consumano più di quattro milioni di litri di liquidi tossici per imbalsamazione, e 20 milioni di bare vengono messe nella terra, spesso costruite con materiali non biodegradabili, e quelle che lo sono, biodegradabili, lasciano filtrare nel terreno e nelle falde acquifere la formaldeide con cui sono imbalsamati i corpi, che è cancerogena. Ogni singola cremazione, infine, emette tanta anidride carbonica quanto un viaggio in macchina di mille miglia: la temperatura di 850 gradi alla quale vengono cremati cadaveri e bare rilasciano nell’atmosfera 160 chili di gas serra. Non solo: chi sceglie l’acquamazione per i propri cari lo fa anche perché è convinto che sia un modo più gentile per occuparsi del corpo. Mentre l’imbalsamazione è considerata invasiva e violenta, così come la cremazione, l’idrolisi alcalina «è più simile a un bagno caldo», ha dichiarato Philip Olson, professore della Virginia Tech University, «e l’idea della gentilezza sta diventando un valore sempre più importante nella cura della morte». Anche perché, continua il professore, a ben guardare l’acquamazione non si rivelerebbe una panacea ambientale: aumenterebbero gli impianti industriali di cloro-alcali, noti per emettere mercurio e altri inquinanti. E per ogni corpo si utilizzano almeno 300 litri di acqua, ovvero due o tre volte di più di quella che usa una persona, viva, al giorno. Ma secondo Olson il procedimento sfiora la poesia: «L’industria funeraria ha sempre riguardato il fatto di rendere il corpo immune alla natura. Processi come l’acquamazione, invece, richiedono di accettare di farne parte».