Anche Paola Marini si prepara a passare ad altri la direzione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: la storica dell’arte veronese è nata lo stesso giorno di Felicori e così a 66 e 7 mesi dirà addio alla Serenissima. Le norme sul pensionamento d’ufficio nel pubblico impiego non ammettono deroghe, anche se, come nel caso di Felicori e Marini, si è firmato un contratto quadriennale con scadenza autunno 2019. Il ministero dei Beni culturali prova a correre ai ripari con un bando internazionale per tre direttori: Reggia di Caserta, Accademia e Parco archeologico dei Campi Flegrei, affidati ad interim sin dall’istituzione a Paolo Giulierini, l’archeologo che dirige il Museo nazionale di Napoli. Una corsa contro il tempo, agosto compreso, per domande, selezioni, procedure e assegnazione dell’incarico. E con il rischio di fermare tutto.
Direttore Felicori, che farà dal primo novembre, il pensionato?
«Non ci penso proprio. Mi cercherò un altro lavoro. Andrò dove mi offriranno qualcosa. Mi occupo non solo di musei, ma di creazione di imprese culturali.
Insegno in un master di comunicazione, vediamo».
Va via perché la legge lo impone. Rimpianti?
«È tutto un rimpianto. La norma applicata ai direttori dei musei mi pare iniqua. Peccato. Si potrebbe correggere come accade per professori universitari e magistrati, mi auguro che al ministero ci pensino. A 66 anni non puoi essere considerato vecchio per dirigere un museo».
"Il direttore lavora troppo" la accusarono alcune sigle sindacali. E ora?
«C’è chi sarà contento, non lo nego. Ci sono sacche di resistenza, ma anche tante persone che avevano preso gusto in questa avventura. Non ho mica fatto tutto da solo.
Senza il personale non sarei andato da nessuna parte. La mia esperienza sin dall’inizio si è condita di aspetti sentimentali.
Io, il bolognese che si appassiona, il tortellino e la mozzarella insieme. Una piccola favola, una storia che si chiude, anche se qui non ci sono
tradimenti...».
Si fermerà la "rivoluzione emiliana" a Caserta?
«Quattro anni sono pochi per un’esperienza manageriale, ancora di più per un monumento colossale come la Reggia, una città vera e propria.
Mi dispiace andare via prima, certo. Ci sono problemi, ma anche tante ragioni che danno nuovo entusiasmo e ti fanno correre. Ecco, avrei voluto correre di più».
Cosa lascia al successore?
«Un monumento che si è rimesso in piedi. Chi verrà troverà tante gare avviate, un importante lavoro sulla comunicazione. Abbiamo stretto relazioni con il Teatro di San Carlo, con università e centri di ricerca. Siamo tornati nel club dei grandi palazzi reali europei. E ho dato al Consorzio campano per la tutela della mozzarella di bufala una sede nel parco, perché credo che la Reggia sia simbolo di un territorio e debba aiutare tutto il sistema locale».
Tre mesi per trovare un nuovo direttore. Basteranno?
«Penso che vada confermata la selezione internazionale. Non lo dico io, basta guardare – rimanendo in Campania – a quello che fanno Sylvain Bellenger a Capodimonte, Paolo Giulierini all’Archeologico e Gabriel Zuchtriegel a Paestum, a quanto ha potuto continuare a fare Massimo Osanna a Pompei e a quello che sta avviando Francesco Sirano a Ercolano.
Tutti i musei autonomi dopo tre anni sono cambiati».
Un ultimo sogno?
«Affiderò prima di lasciare a un grande progettista l’allestimento definitivo della collezione "Terrae Motus" di Lucio Amelio che resta a Caserta. Per la gestione penso a una fondazione che si occupi di promuoverla in tutto il mondo».