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 2018  agosto 08 Mercoledì calendario

La doppia vita di Majakovskij “l’americano”

Anno 1925. Nell’ancora pubescente Unione Sovietica ha da poco preso il potere Josif Stalin. Gli Stati Uniti, invece, sono nel pieno della stagione degli “Anni Ruggenti”. L’allora trentaduenne Vladimir Majakovskij decide di fare un viaggio nel cuore del capitalismo. A New York incontra Elli Jones. S’innamorano. Non sarebbe mai dovuto accadere. Lui era il bardo della rivoluzione bolscevica e il padre del futurismo sovietico. Lei una modella emigrata in America per sfuggire al regime. Ma, a dispetto delle ostilità tra le due nascenti potenze mondiali e degli onnipresenti occhi dell’Nkvd, l’antesignano del Kgb, da quest’amore clandestino nasce una bambina, l’unica figlia del “toro scatenato” della poesia russa: Ellen-Patricia Jones, da sposata Patricia Thompson, che rivelò i suoi natali solo sessant’anni dopo. Tenuta nascosta per decenni, nel 125mo anniversario della nascita del poeta questa storia rivive finalmente grazie alla mostra Dochka (Figlia) in corso a Mosca e alle memorie raccolte da questa figlia segreta di Majakovskij. «In queste sale sento la presenza di mia madre», sospira il nipote del poeta, Roger Thompson, in visita in Russia per l’occasione. Dopo la morte di Patricia due anni fa, è rimasto l’unico erede di Majakovskij e custode di questo prezioso archivio.
Durante il suo soggiorno a Manhattan, l’avanguardista trascorse la maggior parte del suo tempo passeggiando lungo la Quinta Strada, frequentando le sale di biliardo o le feste dei letterati. Non parlava inglese. Quando si presentava alle feste in suo onore nei salotti newyorchesi, era capace solo di dire «Potreste darmi del tè per favore?», sperando che tutti pensassero che, da russo, non volesse dire una parola più del necessario. In realtà l’autore di Nuvola in calzoni era frustrato dalla barriera linguistica. È forse anche per questo che si legò alla ventenne Elli Jones.
Nata Elizaveta Petrovna Ziebert, era un’ambiziosa traduttrice e modella poliglotta cresciuta nel lusso sugli Urali all’inizio del secolo scorso. Il padre era un ricco possidente terriero discendente dai tedeschi arrivati nell’Impero su invito di Caterina la Grande. Quando la Rivoluzione minacciò terra e ricchezze, Elizaveta sposò l’inglese George Jones e fuggì negli Stati Uniti dove divenne Elli Jones. Era ancora sposata quando incontrò il genio russo in casa di un avvocato. Ne divenne guida, interprete e amante. «Vari pezzi della mia collezione ricordano quei giorni. Un disegno di mio nonno che ritrae se stesso come un uomo brutto, con il capo chino, e mia nonna con due saette che leescono dagli occhi. Era forse il suo modo di scusarsi di qualcosa. Le loro passeggiate insieme gli ispirarono varie poesie, come Il ponte di Brooklyn. Tornato a Mosca, portò con sé una foto di mia nonna con le mani tese in avanti come a dire “No"», racconta Thompson a Repubblica. Per tre mesi Elli e Vladimir furono inseparabili, ma fecero di tutto per nascondere la loro intimità. Si chiamavano per nome e patronimico. E non scattarono foto insieme. Majakovskij aveva subito messo in chiaro di essere legato a Lilja Brick. E chiese riserbo. Temeva la sua gelosia e la vendetta del regime.
Quando tornò a Mosca, Jones gli scrisse per informarlo che era incinta. Il poeta rispose, sebbene con ritardo. «Oh, Vladimir, ha veramente già dimenticato l’amata zampetta?», si lamenta Jones. Il poeta cercò di organizzare un altro tour negli Stati Uniti ma, non potendo spiegare la vera ragione della sua visita, non ottenne il visto. Dovette aspettare l’ottobre 1928 per rivedere Elli e conoscere la figlia. S’incontrarono a Nizza, in Francia. «Di quell’incontro ricordo le sue lunghe gambe», dirà anni dopo Patricia. Al suo ritorno a Parigi, Majakovskij scrisse alle sue «due care Elli» che aveva «già nostalgia» di loro e voleva tornare a trovarle «per almeno una settimana». «Mi riceverete, coccolerete?», scriveva. «Spero di mettermi a lucido e di presentarmi a Voi in tutta la mia sorridente bellezza. Vi bacio tutte le otto zampette». Si firma “Vol”, abbreviazione del diminutivo “Volodja”. Elli chiese di telegrafarle il giorno e l’ora dell’arrivo in stazione. Ma Majakovskij non avrebbe più incontrato né la sua amata newyorchese né la sua unica figlia. Due anni dopo si sarebbe visto recapitare una scatola con dentro un proiettile. Un messaggio: scegliere la morte o l’umiliazione.Poco dopo, il 14 aprile del 1930, il poeta morì, suicida, all’età di 37 anni. Lasciò un biglietto d’addio, ma non nominò le “due Elli”.
Voleva proteggerle. Non era ammesso che il poeta che sarebbe diventato un monumento dell’ideologia avesse avuto una vita sfrenata in America e dato i natali a una giovane che stava crescendo nella patria del capitalismo. Anche Jones temeva per la vita della figlia e, insieme al marito George che la riconobbe, la nascose dall’Nkvd. Professoressa di studi femminili presso il Lehman College della City University di New York e autrice di una ventina di volumi, Patricia Thompson svelò la sua vera identità solo nel 1989, a 65 anni, e pubblicò il libro Majakovskij a Manhattan basato sulle memorie della madre registrate su nastro prima della morte. Del padre Patricia aveva la statura, la mascella volitiva e i grandi occhi profondi. Negli ultimi anni si faceva chiamare Elena Vladimirovna Majakovskaja e viaggiava spesso in Russia.
«Anche se la mia famiglia non mi aveva mai detto nulla – ricorda Thompson – ho sempre saputo chi fosse mio nonno dall’età di cinque anni. C’erano i suoi libri in giro per tutta la casa e origliavo le conversazioni dei grandi. Mio nonno ha sempre fatto parte del mio carattere. Discendo anche da Roger Sherman Thompson, padre fondatore della Costituzione americana. Ho antenati rivoluzionari da entrambi i lati.Anch’io lo sono a pieno diritto».
Patricia, aggiunge, avrebbe voluto che le sue ceneri fossero sparse sulla tomba del padre nel cimitero di Novodevichij come quelle della madre. Due donne innamorate del poeta. «Mia figlia non L’ha ancora dimenticata, anche se non parlo mai di lei», scrive Elli nella sua ultima lettera a Majakovskij, datata “Nizza, 12 aprile 1929”. «Una volta Lei mi ha detto che nessuna donna ha potuto resistere al Suo fascino. Evidentemente aveva ragione!».