Corriere della Sera, 8 agosto 2018
«Io, Cenerentola nera». Intervista al soprano Pretty Yende
Che sia bella ce l’ha scritto già nel nome. Pretty Yende lo è davvero: lunghi capelli neri, occhi luminosi, labbra impertinenti e una magnifica pelle scura. «Noi ragazze zulu siamo fatte così» ride la soprano sudafricana che in pochi anni ha conquistato le platee di tutto il mondo, dalla Scala al Metropolitan, da Londra a Parigi. E ora, sabato a Pesaro, sarà protagonista con Juan Diego Florez di Ricciardo e Zoraide, apertura del Rossini Opera Festival, regia di Marshall Pynkoski, Giacomo Sagripanti sul podio dell’Orchestra Rai.
Titolo raro, riscoperto nel 1990 proprio a Pesaro, direttore Chailly, Zoraide June Anderson.
«Ruolo complesso, una fanciulla africana che si innamora di un paladino cristiano. Un amore impossibile, e in più ci si mette Agorante, re della Nubia, furibondo perché lei non vuole sposarlo. Per fortuna, Dio benedica Rossini, c’è l’happy end».
Amore interraziale che vince. D’altra parte, visto che Ricciardo è il bel Florez, come resistergli?
«Sono felice di aver ritrovato Juan Diego! Ci eravamo incontrati la prima volta a New York nel 2013 per Le comte Ory. Era il mio debutto al Met, mi sentivo nervosa e lui mi ha rassicurata, mi ha fatto ridere».
Tornando a Zoraide, l’atmosfera è da favola ma il finale da brivido…
«Condannata a morte con il padre e l’amante, deve scegliere se salvare il primo o il secondo».
E lei sceglie il padre…
«E fa bene. Gli amori passano ma il padre resta. L’uomo che sarà sempre al tuo fianco, che mai ti tradirà, è lui».
Ne parla con cognizione di causa?
«Sarò sempre grata a mio padre Petro, il primo a liberare i miei sogni. Quando ho annunciato in famiglia che volevo studiare canto, erano perplessi. La mia cotta per l’opera era nata in modo un po’ strano, a 16 anni, con uno spot della British Airways che come musica usava il Duetto dei fiori della Lakmé di Delibes. Restai incantata, non immaginavo che la voce umana potesse creare simili meraviglie. Voglio provarci anch’io, dissi a mio padre. Se senti che sia la cosa giusta vai, mi rispose».
E lei è volata via. Dalla cittadina di Piet Retief a Cape Town per studiare canto e poi Milano, all’Accademia della Scala.
«La svolta della mia vita. L’Accademia mi ha dato tantissimo, ho incontrato maestri eccezionali come Mirella Freni e Mirella Devia, ho capito che per cantare non basta la voce ma serve tutto il corpo e anche l’anima. Ho imparato l’italiano, fondamentale per il repertorio belcantistico che frequento».
E le ha aperto anche le porte della Scala.
«L’esordio con L’occasione fa il ladro e poi Le comte Ory. Rossini accompagna tutta la mia carriera, ma cantarlo qui a Pesaro, a casa sua, è un’emozione ineguagliabile».
Intanto l’anno prossimo a Parigi sarà la prima Violetta nera. «Traviata» con Michele Mariotti sul podio.
«Violetta nera è la prova che all’opera sta cambiando qualcosa. Che noi cantanti di colore possiamo uscire dai soliti ruoli di Aida o Carmen. Il mio primo Verdi. Violetta è una donna vera, richiede maturità di vita e di canto. Ho 33 anni, è arrivato il momento».
I suoi sogni si realizzano sempre, non a caso il suo nuovo disco si intitola «Dreams».
«Ho raccolto i sogni delle eroine dell’opera e anche i miei. La mia vita è una favola. Mi chiamano la Cenerentola nera ed è così. Ho sognato oltre i limiti, ma se ci credi i sogni diventano realtà. Tutto questo mi riempie di gratitudine e mi insegna il valore dell’umiltà. Non sono una diva! Non lo sarò mai! Mi preme solo essere umana».
È stata fortunata, l’Italia l’ha accolta bene.
«La mia casa è a Milano, la mia seconda città. Ma quando vedo per strada altre persone con il mio stesso colore di pelle che tendono la mano, o quella gente sui barconi, tutti con i loro sogni… Mi torna in mente il mio Paese, gli anni terribili dell’apartheid. I miei genitori l’hanno vissuto. Siamo nel 2018, il mondo è diventato piccolo, siamo tutti connessi ma non tutti siamo uguali. Ma se il colore della pelle è diverso, quello del sangue è lo stesso».