Corriere della Sera, 8 agosto 2018
Il duello tra Iran e Israele si sposta nel Mar Rosso
C’è una nave, in apparenza un innocente cargo, in mezzo al Risiko che oppone Usa, Israele, regimi del Golfo e l’Iran. La Saviz è da mesi nelle acque del Mar Rosso, a nord di Bab el Mandeb. È stata segnalata, fotografata e monitorata dall’intelligence, ma anche dagli esperti che hanno sfruttato al meglio le fonti aperte garantite dal web.
In passato i sauditi l’hanno accusata di aver trasferito armi agli insorti sciiti dello Yemen, gli Houti, avversari della coalizione guidata da Riad. Più di recente è stata sospettata di aver assistito gli insorti in un presunto attacco condotto contro una petroliera dell’Arabia Saudita. Episodio controverso che tuttavia ha spinto la monarchia sunnita a lanciare l’allarme sui rischi per una rotta commerciale primaria.
È possibile – ha scritto l’esperto H.I. Sutton – che la Saviz si tenga in queste acque con compiti di spionaggio. Tiene d’occhio il traffico marittimo, fornisce dritte ai ribelli yemeniti protagonisti in passato di azioni clamorose, con l’uso di missili e imbarcazioni riempite d’esplosivo. Colpi contro la flottiglia schierata da Arabia ed Emirati, scontro impari – viste le forze impiegate – ma che ha riservato brutte sorprese per l’alleanza messa in piedi da Riad. Non poche le perdite tra i militari, però più alte quelle dei civili yemeniti, vittime del conflitto falciate a migliaia dalle bombe.
Sempre la Saviz potrebbe spiare lo scalo di Assab, in Eritrea. Dal 2015 ospita una base importante degli Emirati, una piattaforma dal quale partono missioni militari nello Yemen. Il porto, insieme a quello somalo di Berbera, e a punti d’appoggi minori rappresenta una collana di installazioni messe in piedi dai militari emiratini, una strategia ambiziosa sorretta da finanziamenti importanti. C’è poi il timore del rilascio di mine navali, peraltro già presenti lungo la costa, la ripetizione di quanto avvenne a metà degli anni 80 quando numerosi ordigni furono «sganciati» sulla via d’acqua – si disse – da un finto peschereccio. Indiscrezioni sulle quali comunque pesa la propaganda di tutti i protagonisti.
In questo le petro-monarchie non sono le sole a giocare. Anche Israele si è inserito. E non poteva mancare, vista la sfida prolungata con Teheran. Gli israeliani hanno le loro pedine nel Corno d’Africa e vogliono, a loro volta, bilanciare le mosse dell’Iran. Il premier Netanyahu, solo pochi giorni fa, ha ammonito che qualsiasi tentativo khomeinista di bloccare lo stretto di Bab el Mandeb provocherà una reazione internazionale alla quale Gerusalemme aderirà. Il 5 agosto, un appassionato di temi aeronautici ha rilevato lo strano volo di una formazione israeliana: 2 aerei per lo spionaggio elettronico e altrettanti velivoli da rifornimento si sono diretti verso le acque dello Yemen, quindi – dopo sei ore – sono rientrati. Non è chiara quale sia stata la loro missione, ma certamente ha suscitato interesse e illazioni. Anche perché la cornice internazionale si presta.
Washington ha annunciato nuove sanzioni contro gli iraniani, presto ne seguiranno altre. I pasdaran, secondo una dialettica consolidata, hanno minacciato la chiusura di Hormuz in nome dello slogan «il petrolio è per tutti o per nessuno». Quindi hanno lasciato spazio alle evoluzioni di unità navali nel Golfo Persico proprio per rimarcare che non si faranno intimorire dalle minacce esterne. Toni alti dopo il classico gioco della carota e del bastone di Donald Trump, che ha ventilato un summit con il presidente Rouhani ma ha poi picchiato con le misure. È destino che il pendolo della crisi iraniana non si arresti mai.