la Repubblica, 7 agosto 2018
Voglio una voce tutta nuova
Acustica, fisioterapia, riabilitazione del respiro, logopedia: la medicina scopre come sbloccare tensioni, farci usare gola e labbra, riattivare i muscoli. Per rimetterci in sintonia C he sia uno strumento digitale ( una app) o analogico ( un vecchio mangianastri) non importa: lo shock di sentire la propria voce uscire da un registratore arriva per tutti, prima o poi. Si percepisce stridula, più acuta, priva di corpo. È un fenomeno naturale – nella registrazione si perdono le frequenze più gravi e il suono arriva più alto alle nostre orecchie – che la scienza sta cercando di approfondire. Perché la voce di un individuo è molto più che un semplice mezzo per comunicare, dice Silvia Biferale, terapeuta della voce e del respiro. È lo specchio di ciò che siamo e di quello che vorremmo essere, parla delle nostre esperienze e di ciò che abbiamo vissuto, della nostra personalità e persino del nostro stato di salute.
«Il suono delle nostre parole incide su tutti gli aspetti della nostra esistenza, è il nostro volto uditivo», spiega Jody Kreiman dell’University of California a Los Angeles, che ha presentato uno studio sulla percezione della voce all’ultimo meeting della Acoustical Society of America. Per questo i disturbi della voce possono avere conseguenze personali e professionali devastanti: non soltanto per chi sulle sue modulazioni ha costruito un mestiere ( attori, cantanti, doppiatori) ma anche per chi la usa tutti i giorni, come gli insegnanti. In questo senso, avere cura della propria voce vuol dire avere cura del proprio mestiere, e di se stesso.
Per questo – spiega Martina Spadoni, tecnico della prevenzione che con l’Inail e l’università di Torino ha lavorato sul tema delle malattie professionali della voce nel corpo docente – sarebbe importante concentrarsi sugli ambienti di lavoro per evitare che uffici o aule scolastiche si trasformino in luoghi dove le corde vocali vengono sottoposte a ogni tipo di angherie. «La voce può trasmettere autorevolezza. Alzando i toni possiamo tenere a bada una classe indisciplinata», continua Spadoni. Ma a volte sarebbe meglio intervenire sull’acustica delle aule e sulla formazione, con corsi di logopedia per i professori.
Il punto è che la voce rivela la nostra storia, ma nasconde anche le fragilità che non vogliamo mostrare. In questo senso non esiste una voce “normale”, ma tante sfumature di normalità a seconda di chi ascolta, come ha indagato lo studio di Kreiman grazie a un nuovo approccio che combina fisiologia, aerodinamica, acustica e percezione. Per dimostrarlo la ricercatrice ha chiesto ad alcuni volontari di ascoltare un brevissimo suono (una vocale) emesso da 100 parlanti di sesso femminile. La metà delle registrazioni proveniva da pazienti con patologie più o meno gravi della voce, l’altra metà da studentesse dell’Università senza alcuna diagnosi di malattia vocale. I risultati mostrano con chiarezza che ciascun ascoltatore è perfettamente in grado di stabilire una sua personale graduatoria delle voci, passando da quelle” anormali” a quelle” normali”, ma che il concetto di normalità è invece estremamente variabile tra i diversi ascoltatori. La percezione della voce – dice in sostanza Kreiman – è molto più che un emittente, un ricevente e un segnale sonoro. È una interazione dinamica e complessa tra chi parla e chi ascolta.
Proprio perché la normalità della voce non esiste, ma esiste la voce individuale che restituisce il senso di sé, è importante sentirsi a proprio agio con il suono che esce dalla nostra bocca. Quando questo non accade, spiega Biferale, è tutto l’individuo che non sta bene. In questi casi si può intraprendere un percorso di avvicinamento che si concluda con il riconoscimento e l’accettazione della propria voce. Non si tratta solo di una riabilitazione meccanica, dice Biferale, perché la voce non è solo apparato fonatorio (laringe, faringe e corde vocali), ma riguarda tutto il corpo. Dunque innanzi tutto esercizi di propriocezione, che insegnino a muoversi nello spazio e a percepire le tensioni che impediscono il corretto passaggio dell’aria: perché dove passa il respiro passa anche la voce. Poi, continua Biferale, impariamo ad aprire nuovi spazi di risonanza, emettendo suoni grazie a parti del corpo che non sapevamo usare al meglio: la lingua, le labbra, il palato molle. Si sperimenta la potenza della voce, cercando di percepire le diverse modulazioni, arrivando a toccare i limiti del proprio tono per conquistare confidenza e consapevolezza. Si lavora molto sul diaframma, che separa la cavità toracica da quella addominale. «Si tratta di un muscolo involontario – spiega Biferale – che non può essere attivato in modo diretto. Bisogna dunque rafforzare i muscoli circostanti che possono contribuire al suo movimento».
Infine si imparano a gestire gli appoggi: la postura, la tonicità dei muscoli dorsali, la posizione dei piedi, perché la colonna d’aria deve prendere forza dal basso e non trovare ostacoli. Quando tutto funziona, la voce prende corpo e – si dice – cammina da sola. Alla fine della terapia, chi riesce ad ascoltare la sua nuova voce quasi non si riconosce, ammette Biferale. È in genere una scoperta piena di emozione. Con la” nuova” voce sveliamo aspetti della nostra personalità rimasti nascosti, o riusciamo a celare quelli che vorremmo meno evidenti. Ci appropriamo di un nuovo volto acustico, attraverso il quale possiamo meglio esprimerci. Ma, cosa ancora più importante, gli esercizi insegnano la tecnica dell’ascolto. Non solo della propria voce, ma dei suoni che ci circondano. E chi impara ad ascoltare se stesso, conclude Biferale, sarà più bravo anche ad ascoltare gli altri.