Perché dire Takagi e Ketra significava finora ricevere in risposta un «chiiiiii?». Solo l’ultima delle loro canzoni, Amore e capoeira, li vede ufficialmente tra gli interpreti assieme a Giusy Ferreri e Sean Kingston. Anche se non sono cantanti: Takagi (Alessandro Merli, 45enne, ex dei Gemelli DiVersi) e Ketra (Fabio Clemente dei Boomdabash) sono quel che una volta si diceva, senza offesa, arrangiatori, e che adesso si dice producer. Altro sinonimo possibile, Re Mida: ogni canzone che toccano, sia che nasca da loro sia che gli venga portata da rattoppare, raddrizzare, riempire di suoni e atmosfere, diventa roba da centinaia di migliaia di visualizzazioni su Internet, intasa Spotify, la radio e soprattutto le orecchie, da dove non esce più, una volta entrata. Tormentoni, nel senso letterale. Gli ingredienti, vari ed eventuali: pop mescolato a reggae, ritmi latini, elettronica, vintage. I testi (che non sono loro, ma di autori come Cheope e Federica Abbate) uniscono luoghi comuni, estate, esotismi, malizia, giochi di parole. Piccolo elenco degli ultimi due anni: Vorrei ma non posto (Fedez e J- Ax), Roma- Bangkok (Giusy Ferreri e Baby K), L’esercito del selfie (Lorenzo Fragola e Arisa), Oroscopo (Calcutta), Da sola / In the night (Elisa e Tommaso Paradiso), Non ti dico no (Boomdabash e Loredana Bertè) e ora appunto Amore e capoeira.
Cominciamo da questa e dalle polemiche che ha suscitato.
Takagi: «Cosa abbiamo combinato? Comunque è colpa mia, confesso».
Beh, il video è pieno di donne discinte che ballano nei luoghi più inflazionati del Brasile: campetti di calcio, discariche, il Cristo Redentore di Rio. E il verso "Soltanto per stasera amore e capoeira, cachaça e luna piena, con me in una favela". Ma ci siete mai stati in una favela, vi chiedono i polemisti di Internet.
T: «Certo che ci siamo stati: lì abbiamo trovato il sound del brano.
Abbiamo visto le condizioni di vita, la povertà, la violenza, certo, ma noi italiani siamo bravi a immaginarci di essere meglio di altre parti del mondo. Pensate che Scampia, San Donato Milanese e Palermo siano meglio? Solo che nelle favelas ci sono anche gente viva, amore, e molta più pulizia che a Cologno Monzese, la mia città».
Ketra: «Le feste più ganze di Rio sono proprio nelle favelas. Stare lì e immaginare quella canzone è stato tutt’uno».
Un po’ vi piace scandalizzare, ammettetelo. Lei, Takagi, di recente ha detto: "Noi veniamo dal popolo: la borghesia della musica ha fatto il suo tempo". La gente qualsiasi che va al potere, quasi come il governo attuale.
T: «Non la butterei in politica. Il senso di quella frase è che facciamo musica in maniera onesta, senza averla mai studiata, siamo autodidatti, ignoranti. Rispettiamo chi l’ha fatto e ci collaboriamo, ma è l’approccio ad essere differente. Le nostre produzioni puzzano un po’ di strada, sono grezze, è il gusto delle nuove generazioni».
K: «Quando nei palazzoni delle periferie sento che si canta Amore e capoeira penso che siamo arrivati a tutti, quindi al popolo».
Solo che ora governate voi.
T: «Noi non dettiamo legge: facciamo musica come piace a noi, ed è solo uno dei modi in cui la si può fare. Ogni volta finiamo primi in hit parade? Vero, ma questo lo definirei fattore C».
Prima c’era Michele Canova, con le sue produzioni per Jovanotti, Tiziano Ferro, Marco Mengoni. Ora ci siete voi.
K: «C’è ancora anche Michele, suvvia. Non pensiamo che sia invecchiato o che abbia torto. Anzi, ha iniziato l’internazionalizzazione del pop italiano. Adesso però è in atto una rivoluzione di cui siamo contenti di fare parte: il suono si sta urbanizzando, cioè sta prendendo da hip hop e soul, mescolandosi al pop e adesso è arrivata pure la trap. Ci divertiamo e ci divertiremo».
Per questo passate da rapper come Rocco Hunt, Fedez, Fabri Fibra, a pop come Laura Pausini e Arisa a indie come Calcutta?
T: «Questo tipo di definizioni non ci piace, noi spaziamo senza recinto. La cosa che più ci inorgoglisce è aver lavorato nella stessa settimana per Laura e per Calcutta».
La vostra canzone preferita?
T: «Non si chiede a un gentiluomo con quale conquista ha goduto di più».
K. «Io sono felice di Non ti dico no. Salentino e inglese non sono garanzia di hit. E scrivere per Loredana non è stato facile, è una grande rocker».
Come lavorate?
K: «Abbiamo uno studio in via Sarpi, che qualcuno definisce la Chinatown italiana, ma paragonerei più al Village visto quanti artisti ci lavorano. Ci piace ricevere chi viene a trovarci, a confrontarsi, le cose nascono così. E apparire non ci piace, al massimo una comparsata nei clip. Facciamo orario d’ufficio, dalle 9 alle 19,30. Trattiamo la musica come un lavoro, non come un’amante cui dedicarsi quando puoi e vuoi».
Siete così metodici?
T: «Sì, anche se i risultati vengono quando vengono. L’esercito del selfie è nato in un’ora e mezzo. Il testo di Amore e capoeira in due. Ma adesso forse riusciamo a chiudere un brano a cui lavoriamo da due anni».