il Fatto Quotidiano, 7 agosto 2018
Intervista a Elisabetta Sgarbi: «Il mondo del libro mica è il Salone del Mobile»
“Esiste un tema di ‘povertà educativa’ e tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a dire il vero e a opporsi al falso su temi fondamentali della vita pubblica, come ad esempio l’immigrazione. Ciascuno deve fare il proprio, ovviamente anche gli editori e i giornali”. Elisabetta Sgarbi, mente e anima de La Nave di Teseo, ha da poco concluso il suo Festival, la Milanesiana, che quest’anno ha toccato – oltre a Milano – Ascoli Piceno, Ferrara, Cancelli, Collodi, Bormio, Verbania, Torino e Firenze. “La ricchezza dei contenuti – spiega – con nomi importanti del mondo letterario, musicale e cinematografico, si è sposata a collaborazioni di grande qualità”.
Perché le persone affollano i Festival letterari?
Non tutti i Festival, quelli che sono in grado di gettare radici, di costruirsi un’identità. Non mi stupisce: per lo stesso motivo si va a un concerto invece di ascoltare la musica nelle cuffie. Esiste un bisogno irripetibile di essere testimoni di un accadimento unico e condiviso da una comunità. E, per alcuni scrittori, vale anche un principio di autorevolezza: vado ad ascoltare chi può dire qualcosa di rilevante sulla mia vita. Infine credo sia importante decontestualizzare: ad esempio nella Mostra della Collezione Cavallini Sgarbi a Ferrara, prorogata sino a settembre, ho invitato scrittori a leggere i loro libri in mostra, davanti a quadri da loro scelti. Questo spostamento rispetto alla normalità, spesso proprio anche dei festival, genera una differente e più profonda attenzione.
Eppure in Italia si legge sempre meno…
Direi che sta cambiando la geografia della vendita dei libri. Ci sono canali come l’e-commerce in crescita esponenziale e le librerie tradizionali in difficoltà. E ora anche le catene (di proprietà di gruppi editoriali) faticano. A mio parere – ma questa è una battaglia che La Nave di Teseo ha fatto, perdendola – dipende da una particolare configurazione del mercato italiano, segnato da una forte concentrazione editoriale.
Nelle ultime settimane le classifiche sono “drogate” dal Premio Strega. Altrimenti si venderebbero solo Camilleri e gli altri giallisti. Cosa si può fare per riavvicinare le persone alla lettura?
Anzitutto le classifiche rappresentano una percentuale piuttosto piccola del mercato dei libri. I segnali di allarme – semmai – non sono nelle top ten ma molto più in basso. E comunque, quello che ha vinto lo Strega è un libro letterario, quindi mi pare una buona cosa che sia in vetta. C’è stabilmente Paolo Giordano, c’è Dicker con La scomparsa di Stephanie Mailer, è un romanzo di grande respiro. E poi i gialli sono una realtà nobile della letteratura, non minore: Camilleri e De Giovanni sono due classici del genere, usano bene i meccanismi del giallo per raccontare il mondo intorno a noi.
Il ministro Bonisoli ha affermato che dobbiamo migliorare l’attenzione verso i giovani. Come?
C’è stato un momento in cui la politica e gli organi competenti dovevano intervenire nel mercato editoriale italiano (come era accaduto in Francia), e non l’hanno fatto. I giovani faranno la loro strada e, se ne saranno capaci, cambieranno le cose.
Non ci sono più gli Eco, i Tabucchi, i Fo. Quando Roberto Saviano si appella agli intellettuali per contrastare la nuova ondata di razzismo, a chi si rivolge davvero?
Anzitutto il primo appello lo ha fatto Sandro Veronesi, sul Corriere, chiedendo a Saviano di andare con lui su una nave Ong. Esiste un tema di “povertà educativa” e tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a dire il vero e a opporsi al falso su temi fondamentali della vita pubblica.
Due Saloni del libro, entrambi in crisi: Torino con un enorme buco di bilancio, Milano in perdita (tanto che a settembre l’ente Fiera deciderà il da farsi). È stato un azzardo sdoppiare gli appuntamenti?
L’errore – lo dissi all’alba di questa vicenda – fu di alcuni editori e dell’Aie che scelsero la via della contrapposizione a Torino come arma di affermazione per Milano. Si scommise sulla morte di Torino e invece sì assistette alla sconfitta di Milano. Rimango convinta che il capoluogo lombardo possa avere il suo Salone: lo vedrei a febbraio, ma cercherei di far capire agli organizzatori che se vogliono una adesione numericamente e qualitativamente importante degli editori devono abbassare i costi di partecipazione. Il mondo del libro non è il Salone del Mobile.
La rivoluzione della Nave di Teseo, anche qui una scommessa. Si sente di fare un bilancio, a tre anni dalla sua fondazione?
La rivoluzione mi pare una parola bella. La Nave di Teseo ora è un po’ più grande, avendo accolto a bordo Baldini + Castoldi, la Tartaruga, Linus, Oblomov. Ma un bilancio vero – a parte quelli contabili – ha bisogno di tempi più lunghi, l’editoria si giudica sulla durata. Ci sono tanti segni positivi, che mi rendono fiduciosa, pur con la mia naturale circospezione da farmacista (quale sono).