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 2018  agosto 07 Martedì calendario

Burocratese, il ricorso alla Crusca di Toninelli

Al momento della formazione del governo, Giuseppe Conte operò una scelta temeraria. Su mandato dei consoli Luigi Di Maio e Matteo Salvini, propose al capo dello Stato la nomina del pentastellato Danilo Toninelli a ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. Che è un po’ come porre a guardia di un asilo d’infanzia Erode. Al solo sentir parlare di grandi opere, il neo ministro diventa un Signor No. Così, a prescindere. Il suo faro, dichiara, sarà l’analisi costi-benefici. Manco a dirlo, nell’interesse del popolo. All’improvviso il Signor No si è trasformato nel Signor Sì. E la sua è stata un’iniziativa lodevole. Con la benemerita Accademia della Crusca il ministro ha sottoscritto un Protocollo d’intesa allo scopo di rendere semplice, trasparente e vicino ai cittadini il linguaggio dei burocrati del suo dicastero. 
Vasto programma, avrebbe detto il generale De Gaulle. Perché le iniziative assunte in passato hanno fatto solo buchi nell’acqua. Toninelli lo sa bene. Tant’è che nelle premesse al Protocollo ricorda il Codice di stile del 1993, il Manuale di stile del 1997, le direttive di Palazzo Chigi dell’8 maggio 2002 e del 24 ottobre 2005. Si è abbaiato alla luna. Tuttavia, vale la pena di perseverare. Perché la lingua è il miglior cemento di una Nazione. Che, tra forestierismi e burocratese, non se l’è mai passata così male. 
La nostra Costituzione è stilisticamente pregevole non solo perché i suoi padri erano persone che con la lingua italiana ci andavano a letto. Ma anche perché agli sgoccioli dei lavori Palmiro Togliatti suggerì al presidente dell’Assemblea Umberto Terracini di farne rivedere il testo da insigni letterati. E Antonio Baldini, Pietro Pancrazi e il costituente Concetto Marchesi suggerirono modifiche lessicali prontamente recepite in sede di coordinamento. Una Bibbia laica, la nostra Carta. Asciutta, chiara, alla portata di tutti.
Dopo di che, siamo andati di male in peggio. Quando la XIII legislatura era agli sgoccioli, un centrosinistra alla canna del gas approvò in assoluta solitudine una scriteriata riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, relativa ai rapporti tra Stato e Regioni, tutta sbilanciata a favore di quest’ultime. L’intento era quello di ingraziarsi gli elettori della Lega e risalire la corrente avversa. Ma tutto fu inutile. E la Corte costituzionale dal 2001 ha dovuto sudare sette camicie per evitare in via interpretativa danni peggiori. Come se non bastasse, prima il centrodestra e poi il centrosinistra hanno approvato riforme costituzionali inesorabilmente bocciate per via referendaria.
Qui ci limitiamo allo stile. Abbiamo assistito a una gara a chi sfregiava di più la lingua italiana. Gli articoli della Carta, che nella versione originaria erano composti di pochi commi essenziali, si sono gonfiati a dismisura. Per la disperazione di professori, studenti e operatori del diritto. Sparare contro Maria Elena Boschi, la Madre della riforma del centrosinistra cara al fu Matteo Renzi, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Ma l’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento, la brava Anna Finocchiaro, lanciò un grido d’allarme. Dopo aver letto, riletto e mandato a memoria il parto riformatore, suggerì di mettere il testo nelle mani dell’Accademia della Crusca. Che non chiedeva di meglio. Ma è come se avesse parlato al muro. Nessuno le dette retta. E la riforma fece la fine che tutti sanno. Vox populi, vox dei.
Come Facta, Toninelli nutre fiducia. Confida che, grazie all’Accademia della Crusca, il suo ministero diventerà una casa di vetro. Glielo auguriamo di tutto cuore. Ma il Protocollo d’intesa ha la durata di un triennio. Con un governo che naviga a vista, spera davvero di rimanere in carica fino al 2021, come dire di qui all’eternità?