Il Sole 24 Ore, 7 agosto 2018
Corsa all’oro, così gli iraniani si preparano alla fine della (breve) ripresa
Il tempo sembra essere tornato indietro di sei anni. Ai tempi bui, quando le sanzioni internazionali decretate contro l’Iran (incluso l’embargo petrolifero europeo scattato il 1° luglio 2012) avevano fatto crollare le esportazioni petrolifere del Paese facendolo sprofondare nella recessione.
Oggi scatta il primo round delle nuove sanzioni americane. Quelle che il presidente americano Donald Trump aveva annunciato l’8 maggio con l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano raggiunto dai paesi P5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania) nel luglio 2015 ed entrato in vigore nel gennaio 2016. Quelle di oggi sono “sanzioni secondarie”. Colpiscono cioè i soggetti non americani che intrattengono relazioni economiche e commerciali con l’Iran. Il primo pacchetto riguarda l’acquisto di dollari americani da parte del governo di Teheran, il commercio in oro o metalli preziosi, la vendita diretta o indiretta, la fornitura e il trasferimento verso o dall’Iran di grafite, metalli grezzi o semilavorati, e software per l’integrazione dei processi industriali. Una delle vittime illustri sarà il dinamico settore iraniano dell’automotive. Anche l’acquisto e la vendita di riyal iraniani, ed il mantenimento di conti denominati in riyal al di fuori del territorio iraniano, saranno vietati dalle misure americane. Così come la sottoscrizione o la facilitazione dell’emissione di debito sovrano iraniano. Il secondo round, quello più critico perché riguarda le esportazioni di greggio e le transazioni con la Banca centrale iraniana, entrerà in vigore il 4 novembre.
L’effetto si farà sentire col tempo, ma non c’è dubbio che per gli iraniani, fino all’anno scorso euforici per la ripresa dell’economia, ripartita con forza nel periodo post-sanzioni (rimosse nel marzo 2016), si prospettano tempi difficili. Da aprile, la valuta locale, il riyal, ha già più che dimezzato il suo valore contro il dollaro americano, l’inflazione continua a salire mentre il mercato nero prospera e molti iraniani hanno comprato oro. Nelle maggiori città iraniane serpeggia il malcontento, accentuato da una corruzione quasi endemica. Ed è proprio questo ciò a cui punta la nuova strategia «di massima pressione» delineata dal segretario di Stato americano Mike Pompeo lo scorso 21 maggio: isolare economicamente il Paese, esasperare la popolazione e provocare un cambio di regime.
Questa strategia però non sembra sortire gli effetti desiderati. Davanti a un tentativo di cambiamento orchestrato dall’esterno, la classe politica iraniana, da sempre caratterizzata per le sue rivalità interne, si sta ricompattando intorno al presidente Hassan Rohani. Il quale si è a tal punto indebolito da esser costretto a riavvicinarsi a quelle fazioni più radicali e oltranziste da cui si erano tenuto alla larga durante la campagna elettorale.
In un clima di grande tensione sono tornati a far sentire con forza la loro voce i Pasdaran, una potenza non solo militare, ma anche politica ed economica, che si avvale del sostegno della guida spirituale,l’Ayatollah Ali Kamenei. In questo contesto Khatami, un religioso riformista, non sembra sapere come muoversi. Con una mossa a sorpresa il 30 luglio Donald Trump ha proposto al presidente iraniano un incontro senza precondizioni. Per discutere di cosa non è dato sapere. Ma l’ala oltranzista iraniana non è disposta a venire a patti con chi,ai suoi occhi, è sempre stato il “Grande Satana”. Certo, queste sanzioni, anche quelle di novembre,vedranno molti paesi contrari. Come Russia e Cina. Eppure, per quanto sia un partner commerciale indispensabile per Teheran, Pechino da sola non riuscirà a compensare l’effetto sanzioni.
E l’Europa? Per quanto abbia più volte reagito con dichiarazioni di condanna nei confronti dell’uscita americana dell’accordo sul nucleare, Bruxelles, che vorrebbe preservare l’intesa, sembra avere le armi spuntate. Le opzioni a sua disposizione non appaiono convincenti. Le grandi società europee, quelle che hanno ripreso i grandi affari con l’Iran od erano in procinto di farlo, sono molto esposte negli Stati Uniti, dove hanno fette di mercato ben più corpose. Costrette a scegliere tra gli Usa ed Iran, abbandoneranno quest’ultimo. Molte lo stanno già facendo.