Corriere della Sera, 7 agosto 2018
Dalai celebra Bartali e mostra più se stesso che il campione
A pochi giorni di distanza, Rai2 ha riproposto (a un orario più civile ma incurante dell’editing) «Bartali, il vecchio e il Tour», un omaggio di Michele Dalai all’eroe silenzioso, nel 70° anniversario della sua vittoria più bella, il Tour de France del 1948 (domenica, ore 22.45).
Bartali era un uomo semplice che per resistere alla classe e alla complessità psicologica di Fausto Coppi (il campione che divide le folle ha bisogno del deuteroagonista; si nasce Coppi o si nasce Bartali) ha dovuto lottare come un disperato, dotarsi di una corazza che lo ha reso più archeologico del necessario, ha dovuto faticare a interpretare il ruolo del «De Gasperi del ciclismo», come scrisse Indro Montanelli. Sulla figura di «Gino il Pio» pesa non poco l’anno 1948: l’anno delle prime elezioni repubblicane e della vittoria della Dc, l’anno dell’attentato a Togliatti, l’anno della vittoria al Tour. Vincendo tre tappe alpine, con la conquista del mitico Izoard, si dice che Bartali abbia scongiurato la guerra civile, la presa del potere dei comunisti. Non è del tutto vero, come ha sottolineato Paolo Mieli; di vero però c’è la riconoscenza eterna di Pio XII e dei vertici democristiani, il rosario di attributi salvifici: ciclista della provvidenza, salvatore della patria, arcangelo della montagna... Quando nel 1955 abbandonò le corse, Dino Buzzati scrisse sul Corriere: «Bartali è stato il vivo simbolo del lavoro umano. Ha lavorato fino all’ultimo, badando a fare tutto il suo dovere meglio che gli era possibile. Ecco la grande lezione di umile onestà».
La narrazione sullo sport segue due modelli: il primo è quello di «Sfide», dove la forza del racconto è affidata alle immagini e alla voce fuori campo; il secondo è quello che potremmo chiamare «modello Governi» o «modello Lucarelli», dove il conduttore è sempre in scena, mostra più se stesso del personaggio di cui parla. Dalai ha percorso il secondo sentiero.