La Stampa, 5 agosto 2018
Franco Cordero: «In Italia niente di nuovo: il refrain dell’operetta»
Che cosa resta, che cosa rimarrà di Silvio Berlusconi? Innanzitutto «il Caimano», l’epiteto per lui coniato da Franco Cordero, il «mago Merlino» della procedura penale, come, a loro volta, lo apostrofano i colleghi universitari, un po’ per celia, un po’ no. Nato a Cuneo novant’anni fa, il 6 agosto, formatosi a Torino, tra gli allievi maggiori, con Marcello Gallo e Giovanni Conso, di Francesco Antolisei, negli anni Settanta fu allontanato dalla Cattolica, dove insegnava Filosofia del diritto, nel mirino un suo testo eterodosso,
Gli osservanti
(poi riproposto da un editore della Provincia Granda, Aragno). Di cattedra in cattedra approdando a Roma.
Berlusconi: quale la sua eredità?
«Il modo disinvolto di trattare la cosa pubblica. Che ha radici lontane. La tradizione fratesca-inquisitoria, la Controriforma, come segno distintivo il supremo cinismo con cui liquidava l’eresia. Eretiche, oggi, le schiene diritte, gli spiriti irriducibili ai servilismi, alle pastoie, alle losche mene degli azzeccagarbugli».
L’Italia sarebbe stata diversa se, come sosteneva Gobetti, avesse conosciuto la Riforma?
«Non credo. Il dogmatismo, l’idiosincrasia verso chi vuole vedere dentro le cose, accomuna Riforma e Controriforma. Il pensiero corre al teologo e medico spagnolo Michele Serveto, antitrinitario, condannato al rogo dai calvinisti».
Il cinismo cattolico come male minore?
«Di sicuro offre vie d’uscita, che nell’altra parte non scorgo. Non dimentichiamo ciò che contraddistingue il luteranesimo: genuflettersi davanti al sovrano, chiunque esso sia. Führer compreso».
Quale la sua Italia ideale, o all’ideale prossima?
«L’Italia giolittiana. Lo statista di Dronero, ingiustamente marchiato da Salvemini “ministro della malavita”, aveva capito molte cose. Per esempio che occorresse acquisire i socialisti al governo, garantendo così un corso riformatore».
Una macchia di Giolitti?
«Il suo errore. Lui, antimilitarista, nel 1911-1912 si lasciò attrarre dalla “quarta sponda”. Dalla campagna libica discenderà il conflitto balcanico, e l’attentato di Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria che scatenerà la Grande Guerra».
Da Giolitti ai nostri giorni, alla stagione politica giallo-verde. In voga il populismo, più vicino al fascismo che al socialismo, affermava Robert Wills.
«Sì, il fascismo aveva un sicuro fondo populistico. Non era particolarmente incline al rispetto dell’autorità, prediligeva le gerarchie partitiche, del partito unico, al Re. Ma eviterei di trarre conclusioni affrettate sui nostri giorni».
Con il populismo, soffia il sovranismo...
«Ovvero, per stare al nostro Paese, la chiusura dei porti, la precedenza agli italiani, le esibizioni muscolari? Nulla di nuovo: il refrain dell’operetta».
Dal catalogo leghista a quello Cinque Stelle.
«Di ballon d’essai in ballon d’essai, come i parlamentari che dovrebbero essere sorteggiati, come Internet che dovrebbe fagocitare la democrazia rappresentativa... Controbattere? Mancano i presupposti del contraddittorio ad armi pulite. Signoreggia un’epidemia che corrompe pensiero, sentimenti, gusto: smorfie, lazzi, invettive imbrattano la serietà tragica del momento».
C’è un politico dell’era repubblicana che stima?
«Aldo Moro, assassinato quarant’anni fa. Un’eco di Giolitti: la sua apertura a sinistra, ancorché cauta, discende per li rami».
Il caso Moro: quale riflessione le suscita?
«Ne uscirono moralmente distrutti non pochi politici. Democristiani, innanzitutto. Come Andreotti. Come Cossiga: le messe in scena che allestì invece di adoperarsi veramente per la liberazione del prigioniero».
Lei è originario di Cuneo, città simbolo della Resistenza.
«Sì, una città che naturalmente scelse la parte giusta. Gente incline a riflettere, a ponderare, a sceverare, a non lasciarsi abbagliare. Chissà che non lo avesse capito Achille Starace, segretario del partito fascista, quando sbottò: “Cuneo, vergogna d’Italia!”».
Ottant’anni fa le leggi razziali.
«Non riconducibili alla tradizione politica, etica, religiosa, umana della nazione italiana. Sono testimone di come a Cuneo la comunità ebraica fosse radicata, riconosciuta, rispettata. Da Cuneo a Taranto 1940, numerose nostre navi affondate dagli inglesi. Fu grazie a un generale ebreo, Umberto Pugliese, che, tali le sue competenze tecniche, si svolsero egregiamente le operazioni di recupero».
La disciplina di cui lei è maestro è la procedura penale.
«Mi laureai a Torino con Giuseppe Grosso, in diritto romano. Perché mi votai alla procedura penale? Era un insegnamento trascurato, selvaggio, un terreno da arare...».
Laurea con Grosso, primo esame?
«Con Norberto Bobbio, filosofia del diritto, 30 e lode».
La filosofia del diritto che le sarà «fatale» alla Cattolica.
«Una faida cattedratica mascherata dottrinalmente. La Cattolica e la libertà d’insegnamento non confliggono. Imperava ancora padre Gemelli quando un professore di diritto commerciale, il Messineo, poteva cominciare una lezione così: “Qui non conta la presenza di Dio, qui conto solamente io”».
Bobbio, al tempo di Mani Pulite, contestò l’uso della custodia cautelare (art. 285 codice di procedura penale). Gherardo Colombo, che si laureò con lei, sentì il bisogno di fargli visita a Torino per spiegare il proprio agire.
«Un uso abnorme, allora, della custodia cautelare? Di parere diverso, a ragione, si mostrò la Corte di Cassazione. Certamente non un covo di bolscevichi».
Bobbio è autore di un fortunato vademecum,Destra e sinistra. Che cosa è di destra, che cosa è di sinistra?
«A regnare è l’indistinto. Alla sinistra assocerei la legalità. Circa la destra... ecco, il suo vessillo non è l’uguaglianza. Un motivo non lieve di preoccupazione, dilagando le diseguaglianze».
La crisi del diritto. Un processualista (civile), Salvatore Satta, già osservava: «L’idea di una legge che compone in un ordine tutte le forze irrompenti, che le fa essere ordine, vacilla...».
«Vacilla, vacilla. Il ventennio berlusconiano ha assestato al diritto colpi durissimi. Vogliamo meditare sullo stato del processo? I governi azzurri, le Camere in veste di valletti, lo hanno via via, e meticolosamente, snaturato, favorendone, per esempio l’allungamento, garanzia di prescrizione del reato».
I giudici, da Mani Pulite a Berlusconi, spesso e volentieri associati alla «Colonna infame».
«Ho stroncato l’opera di Manzoni nella Fabbrica della peste. Don Lisander, a differenza di Pietro Verri (Osservazioni sulla tortura), non formula lo j’accuse contro il sistema, contro l’Inquisizione. La sua è una requisitoria controriformista, che confonde il bersaglio: concentrandosi sui giudici, non sulla infame lex in auge».
Dal Seicento al 2018, fedele nei secoli Franco Cordero, una sonda lucidissima: «Versiamo in uno stato liquido, surreale, dove quasi tutto può avvenire, ed è questione capitale sapere fin dove gli italiani siano ancora vulnerabili dall’ipnosi».