Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2018
Geometria da manicomio
Cos’è una retta? e come si definiscono rette parallele? Che domande! pensiamo di saperlo dai banchi di scuola. Ma come spesso capita in matematica, nozioni che sembrano le più evidenti e familiari sono le più difficili da definire in modo rigoroso.
Come scrive nel 1759 Jean Le Rond d’Alembert, «la definizione e le proprietà della retta, così come delle parallele, sono lo scoglio e, per così dire, lo scandalo degli elementi della geometria». La definizione ordinaria di retta, egli aggiunge, è quella di linea più breve congiungente due punti. Ma questa, più che una nozione primitiva, sembra essere invece una proprietà della retta. E poi chi dice che da un punto a un altro ci sia un solo cammino che è il più breve? Ci si persuade solo perché si fa appello a una nozione di retta che contiene implicitamente questa verità. Parallela ad una retta è una retta complanare che congiunge due punti equidistanti dalla retta data, situati dalla stessa parte rispetto ad essa, continua d’Alembert. Ma bisognerà poi dimostrare che tutti i punti della parallela sono equidistanti dalla retta data.
Supporre che sia vero senza dimostrarlo è supporre qualcosa che la definizione non contiene. Insomma, conclude d’Alembert, «la teoria delle parallele è uno dei punti più difficili degli elementi della geometria». Su quella teoria si sono affaticati i geometri fin dall’antichità, dopo che nei suoi Elementi Euclide (ca. 300 a.C.) ha stabilito i canoni di una costruzione della geometria in termini assiomatici, che per duemila anni ha rappresentato il modello di rigore matematico.
Nella definizione di Euclide, «la retta è una linea che giace ugualmente rispetto ai suoi punti». Certo, non il massimo della chiarezza. Che fosse anche il cammino più breve tra due punti non doveva essergli sfuggito, ma sarà postulato esplicitamente solo da Archimede. I primi tre postulati degli Elementi assicurano costruzioni geometriche evidenti (congiungere due punti con un segmento, prolungarlo da entrambe le parti, tracciare una circonferenza con centro e raggio dati). Il quarto afferma che gli angoli retti sono tutti uguali fra loro. A prima vista assai diversa la natura del quinto postulato («delle parallele»): se due rette tagliate da una trasversale formano angoli dalla stessa parte la cui somma è minore di due angoli retti, allora prolungate illimitatamente si incontrano da quella parte.
Racconta Proclo (nel V secolo d. C.!) che ben presto tra i matematici si fece strada l’idea che il quinto postulato potesse essere dimostrato a partire dagli altri quattro, del tutto evidenti e verificabili. Ha inizio così l’affascinante storia che Laura Catastini e Franco Ghione raccontano in questo libro. Nei secoli a venire la sfida lanciata dal postulato euclideo viene raccolta da schiere di matematici, che si affaticano invano nel tentativo di dimostrarlo. Dai matematici persiani Ibn al-Khayyam e Nadir al-Din al-Tusi del XII e XIII secolo, a John Wallis verso la fine del Seicento, al gesuita Girolamo Saccheri, che nell’Euclides ab omni naevo vindicatus (1733) dopo una lunga serie di ragionamenti e risultati che si riveleranno essere teoremi di geometria non euclidea, incapace di trovare una contraddizione è costretto a dichiarare che la negazione del postulato euclideo è «assolutamente falsa perché ripugna alla natura della retta».
Alla fine del secolo l’Euclides vindicatus è noto negli ambienti matematici di Gottinga, dove si forma il giovane Karl Friedrich Gauss, che della natura del postulato euclideo ha occasione di discutere con il compagno di studi Farkas Bolyai. Questi nel 1804 pubblica una propria Theoria parallelarum in cui sostiene di dimostrare l’esistenza di rette equidistanti, ma commette un errore prontamente rilevato da Gauss, ancora fiducioso di riuscire a superare gli scogli contro cui si è infranto il tentativo dell’amico.
Solo assai lentamente comincia a farsi strada in Gauss l’idea di una geometria diversa da quella euclidea, di cui fa cenno nelle lettere agli amici, pregandoli di mantenere il silenzio per evitare «il ronzio delle vespe»” attorno alle sue orecchie o «le strida dei beoti» se la cosa si fosse saputa in giro, come scrive all’astronomo Friedrich Bessel nel 1829.
Nonostante il fallimento del suo tentativo, le ricerche di Farkas Bolyai finiscono per affascinare anche il figlio Janos, inizialmente deciso a dimostrare il discusso postulato. Nonostante gli avvertimenti del padre («conosco questa strada sino alla fine… ti supplico lascia stare la scienza delle parallele») il giovane Janos ne fece l’oggetto delle sue più assidue riflessioni. Come Gauss, anch’egli lentamente cambia opinione e, dopo aver trovato alcune formule fondamentali di una geometria non euclidea, non esita a scrivere al padre: «ho creato dal nulla un nuovo universo».
La sua «scienza dello spazio assolutamente vera», in cui non vale il postulato delle parallele, appare a stampa nel 1832 come Appendice a un volume del padre, che ne fa omaggio all’antico compagno di studi. Ma la risposta di Gauss lascia di stucco il giovane. Non posso lodare il lavoro di tuo figlio, scrive il princeps mathematicorum all’amico, giacché «lodarlo significherebbe lodare me stesso». Infatti, continua Gauss, la via seguita da Janos e i risultati ottenuti coincidono in larga misura con le meditazioni che egli stesso ha intrapreso da oltre trent’anni, ed è una «gradevole sorpresa»” scoprire che il figlio del suo vecchio amico l’ha preceduto, risparmiandogli la fatica della pubblicazione.
Anche se Janos rifiutò sempre di credere alle parole di Gauss, non era millantato credito da parte del grande matematico, come hanno confermato le carte trovate nel suo archivio e le lettere pubblicate dopo la sua morte. D’altra parte, lontano da Gottinga e all’insaputa di entrambi, da tempo idee analoghe erano state espresse da Nicolai I. Loba?evskij, professore all’università di Kazan.
Ad un primo scritto Sui principi della geometria (1829) fece poi seguito La geometria immaginaria (1835), un ampio saggio su I nuovi principi della geometria (1835-38), entrambi poi tradotti in francese, e un volume di Ricerche geometriche sulla teoria delle parallele (1840) che trovò un attento lettore in Gauss.
Nella geometria di Bolyai e Loba?evskij si verificano fatti largamente contrari all’intuizione. Per un punto passano due parallele ad una retta data, che sono rette ’limite’ tra quelle che intersecano e quelle che non intersecano (le ultraparallele) la data retta. L’area di un triangolo è proporzionale al difetto angolare, ossia a quanto manca alla somma degli angoli del triangolo per arrivare a due angoli retti. Ci sono triangoli con lati arbitrariamente grandi ma area finita e altre stranezze simili, che hanno fatto dire a qualche matematico che questa era una «geometria da manicomio».
In realtà, era solo il primo dei «mondi non euclidei» creati dalla fantasia di matematici, che i modelli di Eugenio Beltrami e Henri Poincaré hanno mostrato essere coerenti tanto quanto l’ordinaria geometria di Euclide. E dopo Bolyai e Loba?evskij, quei mondi si sono moltiplicati «senza limite» per opera di Bernhard Riemann prima di trovare corrispondenza nella realtà fisica con la teoria einsteiniana della relatività generale.