Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2018
Se la magia è razionale
Bacchette magiche, mantelli dell’invisibilità, formule e talismani, pozioni e suffumigi sono da sempre presenti nelle storie per i ragazzi (e non solo) e in favole di ogni tipo, in film, racconti, serie tv. E non è necessario aver studiato al castello di Hogwarts per capire che la magia funziona sempre, soprattutto se associata al fantastico e oscuro Medioevo, sebbene la vera epoca dei maghi, a pensarci bene, sia il solare Rinascimento. La magia del resto ha una sua logica, una sua razionalità, una sua volontà di azione sulla natura e su ciò che ci circonda, che in più ci dà accesso a un mondo di misteri e verità nascoste che ci inquieta e ci affascina (letteralmente).
Pensiamo meno al fatto che quello che troviamo nei Merlino dell’industria culturale e negli Harry Potter del cinema e della letteratura è la traccia di una visione scientifica che ha davvero costituito un percorso del cammino europeo, quando i maghi e i filosofi, cioè i sapienti, potevano confondersi tra loro. Basterebbe pensare a un dipinto notissimo, I tre filosofi, di Giorgione, che rappresenterebbe tre misteriosi e non ancora identificati filosofi, ma che sarebbe anche la variante finale di una prima versione (scoperta molti decenni fa grazie a indagini radiografiche) che raffigurerebbe, secondo una nota interpretazione, i Re Magi, sapienti per eccellenza. Maghi e filosofi, scienza e magia: sono alcune delle oscillazioni e delle sovrapposizioni di un mondo premoderno senza il quale neppure la modernità sarebbe pensabile.
Un agile libretto di Ilaria Parri, La magia nel Medioevo, traccia alcune linee di sviluppo della magia come disciplina con un proprio statuto epistemologico, tra il XII secolo e il Rinascimento.
Guglielmo d’Alvernia, teologo dell’Università di Parigi nella prima metà del XIII secolo, ci mostra come un uomo colto e impegnato, a conoscenza di tutte le principali fonti testuali della magia del suo tempo, fosse da un lato preoccupato dalla pratica di costruire talismani e immagini per produrre effetti portentosi – perché questo implicava e anzi esigeva l’invocazione di spiriti sconosciuti e presenze demoniache – e dall’altro lato fosse consapevole che alcuni fenomeni straordinari potevano essere il risultato di forze fisiche e naturali semplicemente sconosciute. Se lo sguardo del favoloso basilisco uccide, aggiunge Pietro d’Abano, non è per azione magica in senso stretto, ma è per la corruzione dell’aria che la presenza di quella sorta di rettile comporta.
La magia può dunque essere, per questi autori, capacità, attraverso la conoscenza, di manipolare fenomeni naturali, o una pratica pericolosa che necessita l’intervento di agenti esterni, i demoni. La presenza di spiriti non deve farci derubricare questo sapere a semplice superstizione o a ingenuità. La figura del demone è eredità del mondo antico, che filtra e però cambia natura nel passaggio al cristianesimo (e anche attraverso il mondo arabo e islamico). Basterebbe pensare al demone di Socrate, oppure alla presenza delle Intelligenze nell’astronomia aristotelica, che nel mondo cristiano assumono il ruolo di mediatori nel caso degli angeli, o comunque di agenti nel caso dei demoni. Una forma di magia, quella cerimoniale, si esprime attraverso rituali, formule, oggetti come candele, specchi, spade, proprio per indurre gli spiriti ad agire per conto del mago. E su principi simili agisce anche la cosiddetta magia salomonica, che si basa su alcuni testi che la tradizione medievale attribuiva a Salomone o ad alcuni suoi discepoli. L’Ydea Salomonis è una figura magica che serve a dominare tutti gli spiriti malvagi. In questo caso però l’intermediario sarebbe un angelo divino e dunque si cerca di legare le azioni magiche e teurgiche al quadro delle attività permesse da Dio. Nel famoso Picatrix, libro arabo dell’XI secolo tradotto in castigliano nel XIII secolo e poi in latino, la magia è anche negromanzia, intesa in senso ampio, che è tuttavia talmente pericolosa che l’autore del trattato specifica di voler rivelare i suoi segreti solo agli uomini saggi e buoni.
Ma esiste anche una magia senza spiriti, come abbiamo accennato, che conosce il potere e le virtù degli astri e le proprietà nascoste delle cose. Nel trattato Sui raggi stellari di Al-Kind?, tradotto dall’arabo al latino nel XII secolo, una grandiosa teoria fisico-astronomica è la base dell’intervento possibile sul mondo. Ogni stella o pianeta, con la sua natura propria, irradia e produce i suoi effetti sull’universo e in particolare sul mondo sublunare, cioè la Terra, e questi raggi si combinano tra loro, si potenziano per la posizione e per i movimenti degli altri corpi celesti. Ogni cosa ha un suo potere di irradiamento, anche i suoni, i colori, gli odori. Si spiegano così, nella conoscenza delle cause, i poteri delle formule magiche, il ruolo dei suoni, la capacità di incantamento delle parole, che il mago conosce e sfrutta intervenendo sulle cause delle cose.
È naturalmente Ermete Trismegisto, il “tre volte grandissimo”, figura mitica che combina i personaggi di Mercurio e di Thot e che medievali e rinascimentali pensavano fosse realmente esistito e che fosse stato contemporaneo di Mosè, il nome più noto della tradizione magica. I testi del corpus “ermetico” sono in realtà redatti nell’Egitto greco-romano tra III sec. A.C. e III sec. d.C. e rappresentano la fiducia nella possibilità di intervenire nel mondo soprattutto attraverso la conoscenza astrologica. È da lui che Marsilio Ficino, medico, prete e mago, si indirizza per comprendere la natura. Ed è proprio con i tre grandi maghi rinascimentali, appunto Ficino, ma anche Pico della Mirandola e Cornelio Agrippa di Nettesheim (che una leggenda coeva voleva accompagnato da un cane nero con un collare ornato da figure negromantiche), che il lavoro di Ilaria Parri, è una sorta di piccolo manuale delle tradizioni magiche, si conclude. Il senso del percorso culturale sembra chiaro: la magia è un coacervo di posizioni e di aspettative, pratiche e teoriche, ma ha una sua logica e una sua razionalità, quella di accedere a un sapere più profondo, per poter intervenire sul mondo e per poter meglio agire, che in fondo è il desiderio di tutte le epoche, di tutti i saperi e di tutte le scienze. E non c’è bisogno di studiare a Hogwarts per capirlo.