Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2018
Nell’armadio di Maria Antonietta
Era rimasta ignuda, non perché povera, ma perché destinata a diventare regina e quegli abiti, che avevano assaporato l’intimità della sua pelle e il profumo delle sue più tenere e violente emozioni di ragazza, sarebbero dovuti rimanere nell’ultima propaggine della casa materna, là dove la casa era un’intera nazione, l’Austria. La mattina del 7 maggio 1770 Maria Antonietta, quindicesima figlia dell’imperatrice Maria Teresa e promessa sposa del futuro Luigi XVI, tocca la riva del Reno che segna il confine con la Francia, entra nel padiglione reale costruito sull’île aux Épis, l’isola delle spighe tra Kehl e Strasburgo, e lascia cadere a terra l’abito da viaggio in gros de Tours, una seta a trama grossa, indossato a Vienna. Quando verso mezzogiorno le porte del salone centrale si aprono con qualche minuto di anticipo sul cerimoniale, tanto da sorprendere la corte asburgica che si congeda dalla sua principessa, la delfina appare vestita secondo la moda francese, un grand habit d’oro scintillante, monito ai doveri e ai ruoli che dovrà interpretare, compreso quello di ambasciatrice dell’eleganza d’Oltralpe. Nella nuova corte l’attende un intero guardaroba parigino e soprattutto l’attende Gabrielle Amable de Noailles, duchessa di Villars, sorella del conte Philippe de Noailles, potente governatore di Versailles, nonché cognata della temibile contessa di Noailles, appena nominata Gran Maestra della Casa della delfina, odiata e ribattezzata da quest’ultima Madame Étiquette. Ma è a Gabrielle, già dama d’onore della regina Maria Leszczy?ska, che Luigi XV affida il compito di seguire la giovanissima nuora nell’apprendimento della difficile arte delle apparenze, di cui stoffe, pizzi, ricami, perle, pietre preziose, busti, sottogonne e code a strascico sono elementi vitali.
Maria Antonietta ha solo quindici anni e di carattere pare docile e lontana dagli intrighi di palazzo. Gabrielle ne ha sessantaquattro, undici più della madre della delfina, e di indole è parsimoniosa e devota. Nel 1771 la duchessa di Villars muore.
Duecentoquarasantasette anni dopo, il primo guardaroba “francese” di Maria Antonietta torna in vita grazie a un documento inedito e straordinario ritrovato da Mathieu da Vinha, storico francese, direttore scientifico del Centro di ricerche del castello di Versailles e autore del volumetto Dans la garde-robe de Marie-Antoniette, appena pubblicato dalle edizioni Château de Versailles (pagg. 126, € 24,90).
In una scrittura piacevolissima è lo stesso da Vinha il primo ad ammettere che la ricerca negli archivi notarili dell’Ancien Régime, più di centoventi a Parigi, materia di cui è esperto, può sembrare noiosa, anche quando Jean-Pierre Poussou, professore di storia moderna della Sorbona, chiede all’ex allievo di aiutarlo a censire le più famose cantine di vino dell’epoca. Sguardo nei dossier dei personaggi in vista, lettura di centinaia di carte fino allora solo fotografate e mai esaminate attentamente, quando all’improvviso sfogliando l’inventario dei beni della duchessa di Villars, protocollati dopo la sua morte da uno dei notai di Versailles, da Vinha giunge al folio 58 e sobbalza leggendo l’intestazione di pagina: «Suivent les objets des garde-robes de feue Sa Majesté la reine et de Madame la dauphine qui dépendent de ladite succession, dans les différents endroids dépendant de la garde-robe de Madame la dauphine». Descritti minuziosamente sono duecentonovant’uno oggetti. In un anno trascorso accanto alla futura regina, dirigendo un piccolo esercito di cameriere, sarte, stiratrici e lavandaie, la duchessa di Villars aveva ereditato una collezione di sessantatré grands habits, settantacinque robes de chambre, venticinque robes simples, quattro habits pour monter à cheval, undici caracos, o abiti alla francese senza strascico, e ancora innumerevoli metri di tessuti pregiati d’oro e d’argento, appartenuti alla moglie di Luigi XV, ma per la maggior parte alla delfina.
A differenza delle successive quattro dame d’onore addette al guardaroba di Maria Antonietta, tutte dimissionarie, compresa l’ultima, Geneviève de Gramont, contessa d’Ossun, in carica dal novembre 1781 al novembre 1792 e licenziata insieme alla monarchia, la duchessa de Villars è stata l’unica a morire “in servizio” e quindi l’unica a conservare quanto accumulato nei lunghi anni di vita a Versailles. Gli abiti preziosi, indossati dalla regina e dalla sua erede e dismessi poco dopo come prevedeva l’etichetta della corte più raffinata d’Europa, venivano ceduti, secondo il privilegio ambitissimo della reforme, alla responsabile del guardaroba, la quale era autorizzata a conservarli o, se aveva bisogno di denaro, a venderli interi o smontandone pizzi, maniche e corpetti. Grazie alla parsimonia di Gabrielle Amable de Noailles il guardaroba di Maria Antonietta, un anno dopo il suo arrivo a Versailles, dunque sedicenne, è rimasto intatto, almeno sulla carta, e grazie al notaio Pierre Nicolas Alain sappiamo anche su quali cifre si aggirasse il mercatino dell’usato dell’epoca: meno di un decimo del prezzo originale. Sommando il costo di ogni capo, come indicano le pagine del lascito riprodotte fedelmente nel libro di Mathieu da Vinha, si raggiunge un totale di 17.804 libbre, in sostanza due stipendi se si calcola che ogni anno la duchessa de Villars, in quanto dama d’onore di corte, riceveva un compenso di 9086 libbre, tra spese di vitto, alloggio e manutenzione carrozze. A ciò andava aggiunta la cifra a sua disposizione per gli acquisti annuali del guardaroba della regina: 32.000 libbre all’epoca di Luigi XIV, più stanziamenti straordinari, 100.000 libbre nel 1725, visto lo sforamento continuo del tesoretto, 120.000 nel 1728 con l’ascesa al trono di Maria Leszczy?ska, e 200.000, in tre rate il 2 e 25 agosto 1769 e il 23 aprile 1770, in previsione dell’arrivo di Maria Antonietta. Molti soldi, molte ruberie. E alla morte della duchessa, dopo ventinove anni di onorato lavoro, scoppia lo scandalo, tanto che il conte Mercy-Argenteau, ambasciatore austriaco a Parigi e responsabile insieme al conte Choiseul del matrimonio che unirà le dinastie dei Borbone e degli Asburgo-Lorena, prende le difese di Maria Antonietta, assicurando in una lettera indirizzata a Vienna all’imperatrice madre, che la figlia «non ha mai scelto né domandato un abito o un accessorio, ma ha delegato ogni cosa alla sua dama d’onore».
Nel primo anno di vita a Versailles, la delfina si limita a segnare con uno spillo gli abiti riprodotti sul grande catalogo che ogni mattina, nella famosa cerimonia della vestizione, le viene presentato dalla duchessa. A ogni scelta segue il brusio delle cameriere (loro, per altro, le responsabili dei furti) e dagli armadi escono i vestiti avvolti in un drappo di seta verde e offerti in una processione di ceste foderate dello stesso colore, e leggendo le pagine dell’elenco notarile, possiamo immaginare l’arrivo negli appartamenti della delfina di un grand habit des taffetas fond blanc à colonnes rose et jaune, come è annotato alla voce 10, oppure alla 22 di un grand habit d’étoffe fond d’argent à colonne d’or, o alla 47 di une petite robe de chambre et son jupone de taffetas fond blanc, vert e rose, o ancora alla 125 di une veste et un jupe assui pour monter à cheval, de ratine écarlate à tresse et brandebourg en or, abbinato, vedi 133, a un chapeau de castor à bords d’or dont un garni de plumes.
Proprio con questa tenuta da amazzone Maria Antonietta verrà ritratta da Joseph Krantzinger nel 1771 e il pastello sarà inviato a Maria Teresa d’Austria che lo terrà nel suo studio, «vi assomiglia e mi delizia», come scrive la madre alla figlia. Tre anni dopo, diciottenne, la delfina diventa regina di Francia e questa nuova libertà, questo potere senza limiti la incoraggiano a cambiare stile, anche nella gestione del guardaroba. Se prima era la dama d’onore a tenere i contatti con i fornitori, d’ora in poi è la stessa sovrana a decidere. In un attimo viene abolito l’intero cerimoniale della vestizione e dopo essere stata pettinata e aver congedato le dame presenti nella sua camera, Maria Antonietta si ritira nello studio, forse le cabinet doré, e lì, scandalosamente, in anticipo sulla rivoluzione francese, riceve Rose Bertin, modista dall’età di sedici anni e prima stilista nella storia della moda. Altri tagli di stoffe e di teste.