Il Sole 24 Ore, 5 agosto 2018
Come i «Misères» sono diventati «Misérables»
Due eventi stranamente concatenati, uno tragico e uno grottesco, avevano liberato la vena di Victor Hugo che da tempo non era avanzato in un progetto che ancora si chiamava Les Misères come spiega il curatore Henri Scepi nella nuova, maestosa edizione di Les Misérables per la biblioteca della Pléiade. Un’edizione in cui ai testi preparatori e a quelli omessi si aggiunge una serie di disegni. Anche se preferiva considerarsi un arredatore, Hugo era uno straordinario pittore. Nessuno più di lui sapeva far calare, in mezzo all’ombra minacciosa dei ruderi, un raggio di luna o stagliare sull’orizzonte bluastro della notte il nero profilo frastagliato delle torri e dei campanili. Era un strana abilità, il cui aspetto, confessava Théophile Gautier, era opprimente come un incubo.
Nel 1843 mentre era in viaggio con l’amante in titolo, la remissiva Juliette Drouet, la figlia adorata, Léopoldine che tanto aveva cercato di persuaderlo a non partire, era annegata con il marito. Solo la dolce timidezza della bionda Madame Biard, moglie inquieta di un pittore, aveva potuto alleviare il dolore di Hugo per la morte di Léopoldine. «Sei un angelo – le scrisse – bacio i tuoi piedi e le tue lacrime». Due anni dopo la polizia, invocata dal marito geloso, faceva irruzione in una stanza sorprendendo Victor e la Biard «in conversazione criminale». La signora, riporta Léon Daudet, era vestita solo della sua bellezza, ma lo scrittore, in camicia da notte, aveva reagito bellicosamente: «Io sono il visconte Hugo, pari di Francia e dunque intoccabile». Visto il flagrante adulterio, la signora, su istanza del consorte, venne incarcerata, mentre Hugo potè andarsene indisturbato. L’indomani i giornali alludevano, senza far nomi, all’incresciosa vicenda. Per calmare la furia di François-Thérèse Biard ci volle l’intervento del re, Luigi Filippo, che gli fece un’importante ordinazione. Il poeta Lamartine dichiarò: «La Francia è elastica; ci si rialza persino da un canapé». Dopo alcuni mesi di detenzione, la bella Madame Biard venne liberata, si separò dal geloso e diventò uno dei pilastri del salotto di Hugo.
Lo scandalo però era stato notevole e, insieme al lutto per la figlia, aveva ispirato a Hugo il bisogno di allontanarsi dal palcoscenico della vita parigina per dedicarsi a un tema rigenerante. Il perfido Augustin de Sainte-Beuve, l’ex-amico che aveva sedotto la moglie di Hugo commentava ironicamente: «Sta chiuso a lavorare a non so quale opera sperando che uno scalpore coprirà l’altro».
Léopoldine sarebbe riaffiorata nella purezza di Cosette, la figlia di Fantine che, a sua volta era già entrata nella vita dello scrittore. Parigi nel febbraio 1841 era tutta imbiancata quando Hugo vide un bellimbusto infilare una palla di neve nella scollatura di una giovane prostituta. La vittima reagì buttandosi sull’aggressore. Le guardie richiamate dalle grida, si limitarono ad arrestare la ragazza. «Non ho mai fatto nulla di male, vi assicuro. È stato quel signore a molestarmi. Non ho fatto niente di male». «Andiamo, cammina, ne avrai per sei mesi!» replicarono i poliziotti. Incerto sul da farsi, Hugo li seguì fino al commissariato. Temeva le malignità dei giornali, ma vedendo la disperazione della ragazza, la difese. L’agente replicò seccamente che la sua testimonianza non contava nulla, ma lo scrittore si palesò. La sua fama era immensa e presto la prostituta, piena di gratitudine, venne rilasciata. Era nata la struggente Fantina che, sedotta da uno studente, è costretta a vendersi per mantenere la figlia, Cosetta. Inutile aggiungere che il salvatore aveva subito approfittato della riconoscenza della poveretta.
Un altro personaggio gli era apparso mentre si stava dirigendo verso la Camera. Aveva visto un uomo «pallido, magro, stravolto» arrestato per avere rubato una pagnotta. «Quell’uomo per me non era più un uomo, era lo spettro della miseria, era l’apparizione deforme, lugubre, in piena luce, in pieno sole, di una rivoluzione ancora affondata nelle tenebre, ma in arrivo». Per documentarsi era andato nelle carceri della Conciergerie. Era stata una visita impressionante; appena entrato, l’oscurità aveva scatenato un senso di oppressione, togliendogli il respiro. Era stato pervaso da un senso di nausea dilatato dall’atmosfera lugubre. «La prigione ha il suo odore e il suo chiaroscuro. L’aria non è più aria e la luce non è più luce. Dunque delle sbarre di ferro hanno un certo potere su due cose libere e divine, l’aria e la luce!».
Lo sosteneva la devozione di Juliette che ricopiava quello che aveva scritto, senza sapere che l’ex-madame Biard svolgeva gli stessi compiti. Una tranquillità in seguito squarciata da un’iniziativa della rivale che, gelosa di lei, le aveva mandato le ardenti lettere ricevute dallo scrittore. Un’usanza più diffusa di quanto si pensi se, sempre nell’esilio di Guernesey, Hugo ricevette da Sainte-Beuve le lettere infiammate mandategli da Madame Hugo.
Tuttavia l’evidente affetto con cui Juliette parlava dei personaggi del romanzo era insostituibile. Alludendo a Cosette, finalmente resuscitata dalla penna dell’amato scriveva: «Ho fretta di rivedere questa povera ragazza e di sapere la sorte della sua bella bambola. Sono impaziente di sapere se quel mostro di Javert ha perso le tracce di quel povero sublime scellerato», di Jean Valjean.
Il 26 aprile 1860 lo scrittore si era finalmente deciso a riaprire la valigia di ferro in cui erano stipati appunti e manoscritti di quello che si chiamava ancora Misères . «Ho trascorso sette mesi a penetrare di meditazione e di luce l’intera opera presente alla mia mente, affinché ci sia un’unità assoluta tra quello che ho scritto dodici anni fa e quello che scriverò oggi. Del resto era tutto solidamente costruito, Provisa res. Oggi riprendo in mano (spero per non lasciarla più) l’opera interrotta il 21 febbraio 1848». In quell’anno era iniziato il processo che, sull’onda dei sollevamenti rivoluzionari e della delusione suscitata dal colpo di stato di Luigi Bonaparte, il futuro Napoleone III, avrebbe portato Hugo a spostarsi verso una sinistra socialisteggiante. Proprio nel 1860 aveva annotato i mutamenti previsti per la visione politica del personaggio. «Modificare assolutamente Marius e fargli giudicare Napoleone autentico. Tre fasi: 1° monarchico; 2° bonapartista, 3° repubblicano».
Nei Miserabili, Hugo replicò il successo dei Misteri di Parigi di Sue santificando una plebe perseguitata, ma intimamente innocente e generosa. La legge, che dovrebbe combattere il male, spesso lo incarna, come l’inesorabile Javert. Il vero eroe è il popolo, rappresentato da Jean Valjean, fondamentalmente buono e ingiustamente condannato per un reato insignificante. Le masse si riconobbero subito nella capacità di redenzione di Jean, l’evaso pronto a trasformarsi in benefattore, per difendere i disgraziati come lui. «Il destino e in particolare la vita, il tempo e in particolare il secolo, l’uomo e in particolare il popolo, Dio e in particolare il mondo, ecco quello che ho cercato di mettere in questo libro», riassumeva compiaciuto l’autore. Gli intimi non ebbero difficoltà a riconoscere in Marius innamorato di Cosette il giovane Victor assorbito dalla sua passione per la futura moglie Adèle.
La polizia di Napoleone III e la stampa di regime temevano gli effetti eversivi del libro. Le copie volavano, le librerie venivano d’assalto. I poveri facevano collette per comprarlo e organizzavano letture pubbliche. Alla fine il libro veniva sorteggiato. Se George Sand era entusiasta – «Che grande cosa questo libro» – e Verlaine applaudiva – «È grande, è bello, soprattutto è buono», i colleghi erano incerti. Per Flaubert i protagonisti non erano realistici. In un articolo Baudelaire lo definì un romanzo edificante, ma in privato diceva che era immondo e insulso. La madre di Arthur Rimbaud scrisse al professore del figlio sedicenne: «Non potrei approvare un libro come quello che gli avete dato giorni fa, I miserabili... sarebbe certamente pericoloso».