la Repubblica, 5 agosto 2018
Che cornice mi metto?
Che cos’è una “cornice”? Un telaio di legno o di altro materiale che inquadra un dipinto, oppure uno specchio, una fotografia o altra riproduzione, allo scopo d’isolarla rispetto all’ambiente circostante e per metterne in risalto i valori. La parola è d’origine greca e significa “linea curva”. Fino al XV secolo, quando apparvero i quadri portatili, dipinto e cornice erano inseparabili. Se si guarda la meravigliosa Annunciazione (1333) di Simone Martini, tempera su tavola e fondo oro del periodo gotico, ci si rende conto che la cornice è parte integrante dell’opera stessa.
Possiede un valore architettonico, oltre che pittorico. Del resto, la cornice in origine è un elemento architettonico degli edifici, sia nel mondo egizio come in quello romano, e anche successivamente; ne costituisce una sorta di coronamento decorativo. Come ha spiegato Rudolf Arnheim, la cornice compare come elemento autonomo, a sé, quando l’opera non viene più considerata parte integrante dell’ambiente sociale, quando muta di status; ovvero quando il quadro, sia d’argomento religioso o no, diventa un oggetto d’uso personale nell’abitazione del proprietario. Georg Simmel, il più geniale sociologo del XX secolo, nel saggio che nel 1902 pose per primo il problema della definizione della cornice dell’opera d’arte, parla di progressiva “ipertrofia del moderno senso dell’individuo”.
Per spiegare questo cambiamento introduce il tema dei mobili nella casa. L’opera d’arte, scrive, è una cosa per sé, mentre il mobile è una cosa per noi. Quando i mobili collocati nelle stanze delle abitazioni smettono di fare da sfondo e diventano oggetti dominanti dello spazio, è segno che si è sviluppato l’individualismo; la medesima cosa accade con la cornice, che, da posizione di servizio al quadro, assume un valore estetico autonomo.
Guardando l’Annunciazione di Simone Martini un uomo del Trecento non vedeva quella che per noi è una cornice. Secondo il sociologo tedesco la cornice non deve avere alcun valore artistico. Nel suo scritto, primo testo della bella antologia La cornice. Storie, teorie, testi (a cura di Daniela Ferrari e Andrea Pinotti, Johan & Levi), Simmel affida modernamente alla cornice il compito di separare e connettere l’opera d’arte: separarla dal mondo e insieme di collegarla al mondo.
Difficile definizione per quest’oggetto che dovrebbe fungere da umile servitrice dell’opera. Se si osserva la forma circolare della cornice nel Tondo Doni, opera di Michelangelo ( Sacra famiglia con san Giovannino, 1505-06), una delle più belle mai prodotte, si capisce che la cornice è già un mobile, il “più mobile dei mobili”, com’è stata definita. Non siamo ancora arrivati alle cornici moderne. Simmel spiega un’altra cosa importante.
Alle cornici accade una cosa analoga ad altri elementi nella modernità: in un primo momento sembrano diventare autosufficienti, dotati di un loro significato autonomo, ma poi “si trasformano in mere componenti meccaniche che conseguono il loro senso solo da un contesto più ampio”.