la Repubblica, 5 agosto 2018
Risparmio über alles: tutti i conti di Berlino
Per Karl Marx, tedesco di Treviri, il risparmio è una caratteristica essenziale del capitalismo. Ma nel bicentenario della sua nascita sono rarissimi i suoi connazionali che riflettono in modo critico su una mania tipicamente tedesca che ha assunto per lunghi periodi una connotazione antisemita. E in tempi di un forte ritorno del razzismo in Italia – soprattutto, nell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali – forse è utile ricordare cos’è stato l’antisemitismo nei secoli, o almeno dai tempi del Mercante di Venezia di Shakespeare. Non l’espressione di un complesso di superiorità tipico del razzista, come ci ha spiegato il responsabile governativo tedesco contro l’antisemitismo, Felix Klein. Ma “un odio dettato da un sentimento diverso: la paura”.
Quattro secoli fa, nel dramma del più grande genio teatrale di tutti i tempi, il capro espiatorio si chiamava Shylock. Negli anni Venti e Trenta lo divenne il grande capitale e i Rothschild e poi, nella Germania hitleriana, gli ebrei tutti. Oggi il bersaglio del nuovo antisemitismo, dei nuovi propagatori di falsità contro gli ebrei, dei nuovi untori che nulla hanno da invidiare ai falsari dei Protocolli dei Savi di Sion, si chiama George Soros. E solo in un Paese con scarsa memoria come l’Italia la campagna d’odio contro il finanziere ungherese non suscita l’indignazione che dovrebbe.
In Germania, per un lungo periodo, sin dalla fine dell’Ottocento, l’antisemitismo fu alimentato da una continua contrapposizione tra lavoro e rendita da capitale, tra risparmio e spreco, tra virtù tipiche tedesche e presunti vizi ebraici. E quella del risparmio divenne un’ossessione nazionale che irradiò la sua forza propagandistica fino ad oggi, e che spiega ad esempio l’ira funesta contro Mario Draghi. Reo, secondo la stragrande maggioranza dei media, degli economisti e dei banchieri tedeschi, di aver polverizzato da presidente della Bce i guadagni sui conti e sui depositi attraverso i tassi d’interesse ai minimi.
Ma se quella contro Draghi è una rabbia che esiste solo in Germania e non negli altri diciotto Paesi dell’euro – altrettanto afflitti da un rendimento azzerato sui soldi messi da parte – è per un’eccezionalità quasi antropologica della Germania, che una straordinaria mostra al Deutsches Historisches Museum di Berlino aiuta ad indagare.
La mostra Sparen. Geschichte einer deutschen Tugend ( Il risparmio. Storia di una virtù tedesca) è l’antologia critica di uno dei pilastri della politica nazionale, che spiega tanti dettagli altrimenti incomprensibili ai non-tedeschi come il richiamo costante di Angela Merkel al modello della “casalinga sveva” che tiene la casa – e il portafoglio – in ordine. O il feticismo di Wolfgang Schäuble e della stragrande maggioranza dei tedeschi per lo “zero nero”, vale a dire il pareggio di bilancio e dunque la mancanza totale di debiti per lo Stato. E fa capire anche perché in tedesco “debito” e “colpa” sono sinonimi.«I francesi si diedero la Rivoluzione, i tedeschi le casse di risparmio!»: il curatore della mostra Robert Muschalla ridacchia mentre ci spiega la nascita di una virtù tedesca legata al concetto kantiano dell’illuminismo come «uscita dalla minorità imputata a sé stessi». Alla fine del Settecento, quando la povertà crescente in tutto il continente europeo stava creando le premesse per la presa della Bastiglia, i tedeschi inventarono le casse di risparmio già con una «chiara funzione di controllo sociale», puntualizza.
Nel 1778 la prima sparkasse nacque ad Amburgo come un’istituzione per i poveri: la “minorità” di cui parla Kant era dunque la povertà, che non era più un destino inflitto da Dio, ma una traiettoria decisa dagli uomini dalla quale ci si poteva emancipare. Il risparmio, frutto del duro lavoro, era la strada maestra per riuscirci, predicavano politici e banchieri. Chi si concentrava sul lavoro e sul risparmio, difficilmente pensava alla rivoluzione: questo lo scopo neanche troppo velato dei potenti. E nello statuto di questa prima sparkasse, la Allgemeine Versorgungs-Anstalt, si legge che lo scopo del risparmio “è essere utili allo Stato”. Un’idea che molto più tardi si espresse anche nelle patriottiche campagne che intimarono di sottoscrivere titoli per finanziare la Prima guerra mondiale e la Seconda, con agghiaccianti manifesti che invitavano anche i bambini a rompere i loro salvadanai per comprare i cannoni utili al conflitto. Individuo e Stato, in Germania, sono spesso indissolubilmente legati.
Inevitabilmente, con il consolidamento di una vera e propria ideologia del risparmio che avvenne nel corso dell’Ottocento, intimamente legata all’immagine del “tedesco laborioso”, ne emerse un’altra, più oscura. Per contrasto, si rafforzò il disprezzo per il credito, per l’ozio, per lo spreco, associati sempre più fortemente agli ebrei. La mano rapace che agguantava l’oro dei tedeschi sul Manifesto per spezzare il vassallaggio dalla servitù dei tassi di interesse di Gottfried Feder era quella degli ebrei, il suo libercolo antisemita del 1919 diventò poi un testo fondamentale del nazismo. Racconta Robert Muschalla che nel corso del XIX secolo la parola risparmio divenne kampfbegriff, un termine bellico. E la guerra diventò sempre di più quella contro gli ebrei. «All’inizio non era un rapporto diretto ma complementare: il risparmio non era di per sé un concetto antisemita. Ma nel tempo le due immagini, quella del tedesco laborioso che si contrapponeva a quella degli ebrei che guadagnano facendo crediti, divennero sempre più speculari e indissolubilmentelegate». “Lavorare e risparmiare sono la stessa cosa” gridavano molti manifesti dell’epoca nazista.