la Repubblica, 5 agosto 2018
Vita da cane (cinese) in un resort di lusso
I cani vanno sullo scivolo? «Sylar sì, guarda!». Zhou fa un gesto con il braccio, il border collie prende la rincorsa, fa tre balzi fino in cima alla scaletta e poi si tuffa giù planando a terra scodinzolante. «Ha dato un senso alla mia vita, questo posto l’ho costruito per raccontare la nostra storia, per restituirgli qualcosa». Bel restituire: un resort di lusso per quadrupedi, parco giochi da 7mila metri quadri con dondoli e frisbee, piscina e cucce climatizzate; costo totale mezzo milione di dollari. Ma il debito era grande, Zhou Tianxiao lo dice chiaro. In mezzo a questa Cina dove tutti corrono verso un obiettivo lui era un ragazzo perso, genitori divorziati e dileguati, scuola abbandonata a 15 anni, «tanti videogiochi, tanto alcol, nessuna capacità». Fino a che l’incontro con Sylar non gli ha ridato una motivazione. Ha cominciato ad addestrarlo per gioco, guardando e poi postando video in Rete, dove spesso qui si semina successo. E dopo essere diventato una star dei social, 800 mila follower, ha aperto un e-commerce di prodotti per animali. Oggi questo 31enne smilzo e dinoccolato, caschetto e croce d’argento al collo, magliettona larga “fuck you” da ghetto, sfreccia su una Maserati blu elettrico, ma con una coperta tutta peli di cane sopra il sedile di pelle.
Un po’ di fortuna la vita gliela doveva: insieme a lui, anche la nuova Cina e i suoi giovani hanno scoperto la passione per gli animali domestici. Ogni anno i cuccioli crescono di un quarto, siamo a 100 milioni di esemplari, solo in America e Giappone ne zampettano di più. E niente meglio di questo ex magazzino ristrutturato fuori Pechino mostra quanto i padroni siano disposti a coccolarli, tre quarti affetto e un quarto status symbol. Dentro all’edificio principale una signora con la muta nuota in piscina insieme al cane, mentre un fotografo li mitraglia di scatti: la sguazzata costa 150 yuan, circa 20 euro. La suite privata, con condizionatore, filtro anti inquinamento e poltroncine per animali Made in Hong Kong viene il doppio. Uno dei quattro cucciolotti bianconeri di Sylar 10.000 yuan, 1.500 euro.
Ovviamente solo cibo bio, che Zhou importa da Nuova Zelanda o Stati Uniti, di quello cinese i proprietari non si fidano. «Al momento questo è un club per i miei amici e per i clienti dell’e-commerce», spiega a un tavolino del bar all’americana, mentre Sylar salta su uno sgabello. Anche su questa parete c’è un murales che ritrae il collie, mentre gioca a poker. «In Cina non esistono dei posti per gli amanti dei cani, io voglio creare una comunità, educare. Più tolleranza una società mostra verso gli animali, più è civilizzata. Da questo punto di vista siamo ancora indietro». Normale, per un Paese in cui fino a un paio di generazioni fa gli animali domestici erano bollati come un vizio borghese e le Guardie rosse passavano a rastrellarli casa per casa. Al massimo i cani si mangiavano, ancora succede nel Sud della Cina («mi disgusta, ma capisco chi lo fa», media Zhou). Di questo passato rimane ancora eredità nelle leggi, che dipingono il cane essenzialmente come un problema di ordine pubblico.
Nel centro di Pechino è vietato possedere esemplari che al garrese superino i 35 centimetri: Sylar non è certo un alano, ma già sfora. «Se lo portassi in città la polizia lo sequestrerebbe», dice il ragazzo. «Né esiste una legge per la protezione degli animali, potrei bastonarne uno per divertimento senza essere punito». Figurarsi allora se esistono regole per un posto come questo. E infatti Zhou qualche problema con le autorità lo sta avendo, questione di licenze che mancano, per questo esita ad aprirlo al pubblico. Ha una paura matta che lo facciano chiudere, ora che sono già pronti i lavori per un’aera giochi coperta e lui ha tante nuove idee: «Mi piacerebbe usare i cani per educare i bambini con difficoltà psicologiche». Zhou dà l’impressione di tirare fuori tutto, senza filtri, come poche volte capita in un Paese dalla comunicazione obliqua come la Cina. D’altra parte si è tatuato le sue conversioni in bella mostra sull’avanbraccio: “Sylar” e “Ama la resurrezione e la vita”.
Che sia vero quello che sostengono alcuni psicologi, che la passione dei giovani cinesi per gli animali è l’ennesimo effetto imprevisto della politica del figlio unico? Che una generazione di ragazzi cresciuta al centro di ogni attenzione familiare, ma che oggi ritarda sempre di più il momento di avere bambini, trova nei quadrupedi una sorta di sfogo?
«Guarda me – risponde Zhou accendendosi un’altra sigaretta, un vizio che non ha perso – io non voglio avere figli perché so la pressione a cui sono sottoposti in Cina». Allunga la mano verso la zampa di Sylar e gli accarezza il pelo tra le unghie. «Lui è la famiglia che non ho».