Corriere della Sera, 5 agosto 2018
Trump contro LeBron James: «Uno stupido»
Per la stragrande maggioranza degli americani LeBron James è la stella indiscussa del basket. Per molti è anche un attivista, un punto di riferimento nel sociale. Per Donald Trump, invece, è «uno poco intelligente». Un altro dei tanti «stupidi» che popolano la galleria degli avversari trumpiani.
Va detto che LeBron ricambia da un pezzo i sentimenti del presidente. Anche venerdì sera 3 agosto, il campione ha attaccato «The Donald», durante un’intervista con il giornalista Don Lemon, sulla Cnn. «James» ha raccontato la sua ultima iniziativa: l’apertura di una scuola ad Akron, la città dove è nato e cresciuto, nell’Ohio. Il progetto si chiama «I promise School» e accoglierà subito 240 bambini «disagiati». Tutto nel segno dell’identità afroamericana. Sulle pareti delle classi sono ritratti le figure mitologiche dello sport nero, da Jesse Owens a Muhammed Alì, oltre a Martin Luther King. Partendo da qui LeBron è arrivato, per contrasto, a Trump. Lo ha accusato di essere «divisivo», mentre «lo sport non è mai stato qualcosa che divide le persone, ma anzi le avvicina».
Alle 23.37, un orario inconsueto, ecco il tweet di Trump: «LeBron è stato appena intervistato dall’uomo più stupido della televisione, Don Lemon. È riuscito a far sembrare LeBron intelligente, cosa che non era facile. A me piace Mike! (cioè Michael Jordan, ndr)». Il quale è intervenuto a difesa del collega: «Sto con lui», ha detto. Ma l’intervento più sorprendente a difesa del campione dei Lakers è stato quello della first lady, Melania: «Lebron sta facendo cose molto buone nella sua comunità e a sostegno delle future generazioni e la first lady lo incoraggia», ha fatto sapere la sua portavoce. Di più, la moglie del Presidente ha intenzione di andare a visitare la «I promise School».
Anche negli Stati Uniti poche cose accendono le passioni come lo sport. Lo sapeva bene Barack Obama, sempre attento agli eventi più seguiti e a promuovere il suo «profilo atletico»: il golf, lo sci d’acqua, il campetto con il canestro alla Casa Bianca.
Trump, un presente da golfista e un passato da impresario del «wrestling», si è gettato nella mischia fin dall’inizio del suo mandato. Ha cominciato simpatizzando apertamente per i New England Patriots e il suo giocatore simbolo, Tom Brady, nella finale del «Super Bowl» di football, il 5 febbraio 2017. Per un certo periodo Brady ha ricambiato l’ammirazione del presidente. Ma poi non si presentò alla cerimonia della Casa Bianca con il resto della squadra. «The Donald» che, più o meno scherzando, racconta che lo avrebbe voluto come genero al posto di Jared Kushner, non la prese bene. Nel frattempo aveva lanciato una durissima campagna contro i giocatori che si inginocchiavano durante l’esecuzione dell’inno nazionale, in segno di protesta per i metodi usati dalla polizia con gli afroamericani. Nel settembre 2017 il presidente, durante un comizio in Alabama, intimava ai dirigenti della Lega di licenziare gli atleti «che non rispettano la bandiera». In realtà l’organizzazione lo aveva già accontentato. Il capofila degli atleti neri, Colin Kaepernick, aveva perso il posto in squadra nei San Francisco 49ers e dal marzo 2017 era rimasto senza contratto. Ma atleti di altre discipline solidarizzarono con Kaepernick. LeBron fu uno dei primi e poi Stephen Curry, il faro dei Golden State Warriors, il team che domina il campionato Nba. Nel settembre 2017 altro strappo: Trump annullò l’invito alla Casa Bianca per Curry e i «Warriors».
Adesso si ricomincia da LeBron. Melania permettendo.