il Fatto Quotidiano, 4 agosto 2018
I punti deboli dei dossier sui troll russi
“Non abbiamo idea di quante persone abbiano ritwittato questi messaggi o quei retweet. C’è il potenziale per raggiungere un pubblico molto ampio, ma è difficile sapere quanto sia grande”: a spiegare al Fatto, prima di qualsiasi numero o analisi, l’impatto che avrebbero avuto sulla politica e l’opinione pubblica italiana gli account e i post riconducibili ai troll russi dell’Ira di San Pietroburgo (l’Internet Research Agency accusata di diffondere sul web con la propaganda filo-Trump) è Darren Linvill, professore della Clemson University, che insieme a Patrick Warren li ha raccolti (sono oltre 3 milioni) per l’Fbi e l’indagine sul Russiagate. “La maggior parte dei tweet italiani – spiega – arriva a marzo e aprile del 2017 con un altro piccolo picco a settembre e ottobre 2017”. Con quale effetto? “È molto difficile stimare il possibile impatto delle operazioni russe su qualsiasi elezione. Stiamo facendo ulteriori analisi per ottenere una risposta migliore, ma dubito che ogni risposta sarà mai certa. Ci sono troppe variabili sconosciute”.
Contenuti. Il dati emersi finora sono residuali e necessitano quanto meno di approfondimenti, nonostante i maggiori giornali italiani abbiano deciso di dedicare ampio spazio alla notizia. I due ricercatori ci inoltrano un file che contiene tutti i tweet italiani, sono 12.610 e provengono da soli otto account: Anna Romano, 1lorenzofava1, Frannervia, Gattisilgatti, Giovanna_Moret, Marialuigi5, RossiRossivin, Sergio_Maestri. Hanno pochissimi follower, circa cento a testa.
Proviamo a fare una ricerca tematica: non ci sono contenuti “originali” ma solo dei retweet, ovvero il rilancio di contenuti creati da altri. Si tratta soprattutto di cronaca. Da “Renzi” a “Pd”, passando per “Salvini” e “M5s”, ci sono centinaia di condivisioni di notizie di politica ‘pura’ e di altre tanto a favore quanto contro tutti i partiti (nonché retweet del tipo “Il bacon che frigge fa lo stesso rumore della pioggia che cade”). Le condivisioni casuali e random fanno pensare si tratti di bot (in pratica robot) che producono contenuti in modo automatico per far sì che gli account restino attivi e che non vengano eliminati dal social network. In teoria, per mantenere attivo una sorta di piccolo esercito automatizzato pronto ad essere usato in caso di bisogno. Per i due studiosi, si tratta però di account gestiti da persone in carne ed ossa.
I dossier. Sui giornali italiani, questo set di dati si incontra – senza che i confini siano ben spiegati – con un altro dossier proveniente dal Quirinale che ha cercato di tracciare gli attacchi rivolti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tra il 27 e il 28 maggio, quando il Movimento Cinque stelle ne aveva chiesto l’impeachment ed era partito l’hashtag #mattarelladimettiti. Vengono identificati soli 20 account in qualche modo (ma non si capisce bene come) riconducibili agli account russi. Facciamo una verifica su uno dei più citati perché considerato ‘chiave’: l’utente Elena07617349. Scopriamo che viene citato dai fake del Cremlino dieci volte, su tre milioni di tweet. Inoltre, il Corriere riferisce di 400 nuovi account che tutti in una volta si sarebbero “attivati” quella notte contro il presidente Mattarella, provenienti da “un’unica origine” poi confermata dalla Polizia Postale. Non si spiega però come, se sia stata Twitter o altri elementi a confermarlo. Fonti della polizia postale dicono al Fatto che in quella data non avrebbero lavorato nello specifico su questo evento, bensì su singoli account Twitter che venivano segnalati per ingiuria, diffamazione e minacce. Insomma, per ipotesi di reato. Anche perché, una dinamica diversa potrebbe far ipotizzare un controllo quasi a tappeto sugli utenti che potrebbe apparire quanto meno illegittimo.
I motivi.In una intervista al Messaggero, Patrick Warren ha spiegato che comunque non c’è nulla di strano. Quella russa è una strategia collaudata. “A loro non interessa diventare famosi, vogliono trovare contatti locali, o che sembrino locali, ai quali dare il compito di esaltare il nome e l’influenza di elementi estremisti che già esistano nel Paese. A loro interessa creare il caos, quindi sostengono estremismi opposti”. Sulle prove di contatti diretti con i partiti italiani “la strategia russa è quella di dividere un paese e aumentare la prevalenza di punti di vista estremi – spiegano Linvill e Warren –. Nel farlo, tuttavia, sembrano avere parti e candidati preferiti. Sicuramente negli Stati Uniti lavorano per aumentare i messaggi positivi sul presidente Trump e tentare di dividere il partito democratico”. In un modo o in un altro, insomma, cercherebbe comunque una strada. “Il lavoro dell’Ira fa parte di un programma molto più ampio e sfaccettato per destabilizzare le democrazie occidentali. Un buon confronto con l’Italia potrebbe essere la Germania”.
Contesto. Per valutare il rischio reale è utile considerare il contesto. Twitter, oggi, è il social network con il minor numero di utenti: 330 milioni a fronte degli oltre 2,2 miliardi di Facebook e del miliardo su Instagram. In Italia, gli utenti di Twitter sono 8 milioni circa, 30 milioni quelli di Facebook. Quando si parla quindi di “interferenze straniere nel dibattito” bisogna tener conto delle dimensioni del bacino. Gli account bloccati da Facebook, ad esempio, sono stati solo 32. I tweet che sono stati definiti pro Lega e M5s solo 1500. Ma ogni giorno su Twitter vengono pubblicati circa 600milioni di cinguettii, una mole di circa 200 miliardi l’anno.