La Stampa, 4 agosto 2018
Venezia, il Casino degli Spiriti. Dove si danno convegno Tintoretto & C. e Morto da Feltre urla le sue pene d’amore
Non è Palazzo Contarini degli Scrigni, sul Canal Grande, vicino al Ponte dell’Accademia. Nemmeno il Contarini delle Figure, di fronte a Ca’ Foscari, o il Contarini Michiel, poco distante. Neppure il più visitato dai turisti, il Contarini del Bovolo, con la sua scala a chiocciola («bovolo», in veneziano). E non è la Ca’ d’Oro, fatta costruire nel 1400 da Marino Contarini. Siete fuori strada se pensate sia il Contarini-Fasan, la Casa di Desdemona: abitava lì, prima di iniziare il viaggio di sola andata per Cipro.
Erano tanti i Contarini: 107 nuclei patrizi, 8 Dogi dati alla Serenissima, e cardinali, vescovi, generali, ambasciatori. Ogni ramo della famiglia, almeno un palazzo. Il Contarini dal Zaffo – attenzione: non il dal Zaffo-Polignac, il dal Zaffo e basta – se ne sta per conto suo, a Cannaregio, diciamo periferia rispetto a San Marco e Rialto, non lontano dalla stazione di Santa Lucia. Per trovarlo, costeggi il Rio della Madonna dell’Orto fino ad arrivare alla Fondamenta Gasparo Contarini. E questa è la strada scelta dai pochi turisti che arrivano fin qui per vedere uno dei primi esempi del Rinascimento veneziano, il giardino all’italiana dipinto da Francesco Guardi, gli affreschi di Giandomenico Tiepolo.
Ma per sentire le voci bisogna arrivare a palazzo dall’acqua, non da terra; non di giorno, ma tardi di notte, quando non c’è la luna e la marea sale: il mare entra in Laguna, l’onda sbatte contro il muro di cinta, ritorna indietro con l’ossessivo suono della risacca. Attorno, soltanto silenzio.
Lato Nord della Laguna, alla fine delle Fondamenta Nuove, dove si allarga la grande e profonda Sacca della Misericordia. Alle spalle, la macchia scura dei cipressi dell’isola di San Michele, il nostro cimitero. Smetti di remare (andarci in barca a motore è considerato estremamente volgare) e aspetti, occhi spalancati e orecchie tese: il Casino degli Spiriti è lì. Non l’airbnb indicato da Google Maps, quello vero. Chissà se l’ha visto anche Mozart, arrivando in barca a Venezia, da ragazzino, nell’inverno del 1771. Gli sarà venuto qui lo spunto per il duetto Don Giovanni-Zerlina, quando il grande Licenzioso, aristocratico e infelice, spinge la bella contadina – e lei: «Vorrei e non vorrei / mi trema un poco il cor...» – verso un Casinetto dove starsene finalmente da soli?
A vedere il Casino degli Spiriti ci portavi le ragazze, cercavi di farle spaventare e quando si erano spaventate, o facevano finta, si stringevano. «Perché stanotte è umido», dicevano. Come se a Venezia ci sia mai stata una sola notte che umida non è. Da molti anni le ragazze non si spaventano più, però, se sei fortunato, Loro li senti ancora chiacchierare. Eccoli: Tiziano, Tintoretto, Giorgione, Sansovino, Veronese, l’Aretino. Tutti assieme? Ma certo, non bisogna essere fiscali con l’età anagrafica degli spiriti. Sono rimasti lì come quando erano ospiti del Cardinal Contarini proprio in quel piccolo Casino, isolato ai margini del giardino e diventato il maggiore e discretissimo cenacolo artistico della Serenissima. Non è che si senta proprio tutto bene quello che dicono, se Tiziano e Giorgione vanno più d’accordo tra di loro che con Veronese e Tintoretto, se Sansovino faccia l’altezzoso dopo aver costruito la Loggetta in piazza San Marco o se il vero motivo che li porta ancora qui siano i sonetti licenziosi, ascoltati dalla sua viva voce, dell’Aretino, che divertivano assai il Cardinale: la Curia veneziana era seconda, per lussuria, solo alla romana, ineguagliabile.
Però di donne preferiscono non parlare, a causa di Cecilia, la modella e amante del Giorgione. Perché – le senti le urla? – spesso, a notte alta, a rompere l’armonia di quel cenacolo arriva lui, Morto da Feltre. È furioso, disperato; non tanto per quel soprannome triste che gli ha affibbiato anche il Vasari nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, per via del suo aspetto malinconico o della passione che aveva per i cunicoli degli scavi antichi, dove si inabissava per ore. Non si sa nemmeno come davvero si chiamasse, se Lorenzo Luzzo, o Luzzi, o Pietro Lucci, ma che importa, fatto sta che quando arriva al Casino fa spavento; già era Morto da vivo, figurati adesso da spirito. Si è ucciso perché Cecilia gli ha preferito il Giorgione. E come darle torto? Dopo cinque secoli, il suo spirito non si è ancora placato. Non riesce a calmarlo neppure il Cardinale, che pure è sepolto qui, nella cappella del Palazzo. Bisognerebbe provare a rendergli onore, a dedicargli una mostra: ne fanno talmente tante, nella Venezia contemporanea bulimica d’arte, Biennale in testa.
Ma guarda lì, in alto, la finestra a sinistra: è Cecilia quell’ombra velata che attraversa la stanza? Soltanto a vederla, Morto da Feltre non urla più. Che pace adesso nella notte della Laguna. Ma è davvero lei o è una delle giovani suore della Casa della Divina Provvidenza, che oggi governano Palazzo Contarini? Sapranno o non sapranno? Certo che sanno, per allontanare gli spiriti dal Casino hanno buttato giù muri, alzato tramezzi, costruito altari, cucina, stanze, bagni. Ma se qualche volta capita loro di incontrare nei corridoi l’Aretino, che nella Venezia del Cinquecento si è trovato così bene da restarci per sempre, non ne abbiano timore. Soltanto lui, così esperto del «fragil senso umano», potrà consolare, prima o poi, le angosce amorose di Morto da Feltre.