La Stampa, 4 agosto 2018
Dal barcone alla serie A. La rivincita di Cissè: “Giocherò contro CR7”
Il riscatto può avere la forma rotonda di una palla. La forza di un rigore, la gioia di una partita vinta. Per Cissè questo dribbling vale la vittoria di un campionato del mondo. Il suo, quello che sognava di cambiare dal giorno in cui ha deciso di lasciare la famiglia e sfidare il deserto, le torture, il mare e le insidie di un luogo lontano e sconosciuto.
Era convinto di sbarcare nell’Italia che aveva visto in tv, ma il 26 maggio del 2016 si è ritrovato in un luogo che sembrava essere altrove: «Sì, anche questa è Italia ma un’isola – gli avevano spiegato i mediatori – Si chiama Sardegna, qui siamo a Cagliari e quando avrai il permesso potrai andar via». E invece no, Cissè ci è rimasto e in quella che gli sembrava un’altra prigione, dopo quella libica, è riuscito a trovare la forza per battere le ali e iniziare un nuovo volo. In area di rigore, tra difensori forti ma leali, con la divisa del Cagliari, la stessa che hanno indossato calciatori passati alla storia, da Riva a Zola, da Lulù Oliveira allo sfortunato Davide Astori.
Il regno del pallone
Cissè Dramanè, che ancora deve compiere 18 anni, non lo sapeva che in quest’isola c’è una squadra di Serie A e che quest’anno dovrà affrontare la Juventus del mito Cristiano Ronaldo. Nella sua Costa d’Avorio l’Italia è vista ancora come il regno del pallone: da bambino immaginava che da grande sarebbe stato bello giocare in quel campionato. «Milan, Inter, Juve, Roma… il calcio italiano, la mia ossessione». Ora Cissè quel sogno lo racconta indossando una maglia da calciatore vero: quella rossoblù, che in Sardegna è la più importante bandiera sportiva, il vessillo che fa battere forte il cuore. Non è da solo nel campetto che il Cagliari usa per gli allenamenti: ad affinare la tecnica e a studiare strategie d’attacco ci sono anche Christ e Mohammed, arrivati anche loro seguendo lo stesso percorso. Non è un caso, perché qui il calcio lo intendono così, come uno dei tanti sinonimi della parola integrazione. Tutti e tre ora sono sotto osservazione da parte dei due mister: quello che guida la Primavera e quello che prepara la squadra per la Serie A. Cissè e i suoi nuovi amici hanno l’opportunità di scendere in campo, anche contro le grandi corazzate. Ma prima ci sarà molto da sudare. «Il calcio mi sta regalando una grande opportunità, in campo inizia la mia seconda vita, la più bella».
I dirigenti cagliaritani cercano nuovi talenti non solo nelle scuole blasonate, ma anche nei centri di accoglienza, dove tanti ragazzini tentano di tirare il rigore più importante della vita. Non è uno spot, ma una vera operazione sportiva che ha già fatto sbarcare nei grandi stadi ragazzi con una storia simile. Per ora non c’è uno stipendio da bomber, ma il biglietto da staccare per tentare il viaggio. Lo stesso che ha fatto il centrocampista del Bologna Godsfred Donsah, passato da Cagliari dopo essere sceso dal barcone. «Il percorso è appena iniziato – dice imbarazzato Cissè – Sono pronto a superarmi ancora e a vincere questa nuova sfida. Con la mia arma più potente: i piedi».
I selezionatori
I talenti sono ovunque e spesso hanno solo bisogno di essere riconosciuti. E i selezionatori del Cagliari lo hanno scovato proprio nei campetti dei centri di accoglienza. Cissè, che ancora combatte con le complessità dell’italiano, è stato un po’ più fortunato, perché a Ulassai e Sarule, tra Ogliastra e Barbagia, già poco dopo lo sbarco ha avuto un’occasione. Le 16 reti segnate per il Taloro Gavoi, nel campionato regionale di Eccellenza, hanno fatto scattare subito l’attenzione del Cagliari verso questa nuova promessa. Ma le regole della federazione internazionale per i tesseramenti sono stringenti, persino più complesse e più lente delle norme sul diritto di asilo. Ma le partite si possono vincere anche ai supplementari.