Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 04 Sabato calendario

L’improbabile difesa della madre di bin Laden: «Era un bravo ragazzo»

Diciassette anni dopo l’attacco all’America dell’11 Settembre, la madre di Osama bin Laden ha accettato di parlare del figlio in una intervista concessa al corrispondente per il Medio Oriente del giornale inglese The Guardian, Martin Chulov. Come tutte le madri di figli indifendibili, anche Alia Ghanem sostiene che il suo primogenito era un bravo ragazzo, traviato dalle cattive compagnie: se avesse ascoltato lei, non sarebbe finita così.
Chulov è riuscito in un’impresa che sembrava impossibile grazie all’appoggio dell’uomo più potente dell’Arabia Saudita, l’erede al trono Mohammed bin Salman, impegnato in un decisivo processo di modernizzazione del Paese. Tra le tante cose che i sauditi devono lasciarsi alle spalle c’è anche il sospetto di essere stati complici degli attentati che hanno causato 2976 morti e 9000 feriti: 15 terroristi su 19 venivano dall’Arabia Saudita. Inoltre, se persino la famiglia di Bin Laden conferma che lui solo era stato la mente e l’organizzatore degli attentati ci saranno meno appigli legali anche per le migliaia di cause che i parenti delle vittime hanno intentato. 
Chulov è stato ricevuto in una lussuosa casa di Gedda: i Bin Laden sono ancora una famiglia molto ricca e influente. Alia Ghanem, che ha divorziato dal padre di Osama tre anni dopo il matrimonio, è con i due figli Ahmad e Hassan e con il secondo marito, Mohammed al-Attas. Nella stanza, in mostra su un tavolino, c’è una foto di Osama con una giacca militare. «Era un bravo ragazzo, mi voleva molto bene», ricorda Alia. Era timido, continua, ma anche determinato e pio, almeno fino a quando non si è iscritto a Economia all’università King Abdulaziz di Gedda. «Era bravo a scuola, gli piaceva studiare. Ma la gente dell’Università l’ha cambiato, è diventato un uomo diverso. Gli hanno fatto il lavaggio del cervello. Erano come gli adepti di un culto, avevano soldi per la loro causa. Io glielo dicevo di stare alla larga da quelli, ma lui non mi ha mai confessato ciò che faceva, perché mi voleva troppo bene». 
A traviare Osama, racconta la madre, è stato Abdullah Azzan, un membro dei Fratelli Musulmani. Ma quando suo figlio andò in Afghanistan negli Anni 80 a combattere i russi, tutti erano orgogliosi di lui. «Chi lo incontrava lo rispettava – interviene Hassan –. Anche il governo lo trattava nobilmente e con deferenza». La madre riprende: «L’abbiamo visto l’ultima volta nel 1999 a Kandahar, in un posto vicino all’aeroporto che era stato preso ai russi. Era felice, ci mostrava in giro. Aveva ucciso un animale e organizzò un banchetto invitando molta gente. Lui ha speso tutti i suoi soldi in Afghanistan». Alia non ha mai sospettato di nulla, non si è accorta della trasformazione del figlio da solerte sostenitore della causa afghana a sanguinario jihadista: «Non mi è mai venuto in mente. Quando abbiamo saputo eravamo tutti indispettiti: non volevo che succedesse, perché buttare via tutto così?». 
Ahmad interviene per dire che sua madre è troppo indulgente. «Dopo New York eravamo sotto choc. Abbiamo saputo tutto fin dall’inizio, nelle prime 48 ore. L’intera famiglia è rientrata in Arabia Saudita da ogni parte del mondo e per molto tempo non abbiamo potuto muoverci, eravamo controllati e ci era vietato uscire dal Paese». Ora il figlio di Osama, Hamza, 29 anni, è da qualche parte in Afghanistan e minaccia di continuare l’opera del padre. «Se lo vedessi davanti a me – interviene Hassan – gli direi: Dio ti guidi, pensa due volte a quello che fai. Non seguire le orme di tuo padre. Stai scoprendo lati oscuri della tua anima». Una delle figlie di Alia, Fatima al-Attas, ha telefonato da Parigi per protestare: non voleva che sua madre fosse intervistata e pensa che sia stata forzata a farlo. Ma i Bin Laden hanno costruito mezza Arabia Saudita e nel futuro del Paese c’è ancora bisogno di loro: sia chiaro dunque che Osama era solo la pecora nera, che è andata incontro al suo destino.