«Una decina di giorni fa, mi ha risposto il figlio chiedendomi se era urgente, perché il papà non poteva parlare ché stava poco bene. Mi ha richiamato lui due giorni dopo, voleva invitarmi a una festa a Ibiza, ai primi di settembre».
E come stava?
«Mi sembrava molto giù. Aveva avuto una forte influenza e l’aveva un po’ sottovalutata. Aveva la febbre. Pensava che sarebbe passata dopo due o tre giorni.
Invece si è aggravata. Che poi lui con i polmoni dopo l’incidente ha sempre avuto problemi…».
Che c’entra l’incidente?
«Quando andai all’ospedale di Mannheim dopo il rogo del Nürburgring — erano proprio i primi giorni di agosto — il medico ci disse che alla fine non era troppo preoccupato per le ustioni che aveva riportato. Erano tremende, ma se era arrivato a quel punto con ogni probabilità sarebbe sopravvissuto. Il problema vero, quello per cui rischiava la vita, erano i polmoni. “Per tutto il tempo, prima che lo tirassero fuori, ha respirato fuoco”. Ricordo che mi disse proprio così: “Ha respirato il fuoco”, anche se in realtà aveva respirato anche i gas della benzina bruciata. Erano i polmoni, la parte più danneggiata del suo corpo… Poi, siccome è un lottatore, si riprese, come tutti sanno. Anche se i danni furono enormi».
Una tempra d’acciaio...
«Una forza incredibile. Guardi io della mia vita sportiva ho due ricordi la cui memoria visiva spicca su tutti gli altri. L’ultima volta che vidi Schumacher uscire da una Ferrari di Formula 1. E il giorno in cui Lauda tornò alle corse, a Monza. Aveva il sottotuta bianco. I caschi dei piloti sono molto stretti, lui spinse un po’ per infilarlo. E dopo pochi secondi vidi due rigagnoli colare lenti dai lati del volto, sotto la visiera, lungo il collo, inzuppando il sottotuta. Stava provando un dolore lancinante».
È vero che Enzo Ferrari era geloso di Lauda?
«Quando lesse sulla Gazzetta il titolo: “Tutti a Monza per Niki”, commentò: “Ma Lauda a Monza corre a piedi o in bicicletta?”. Quella storia stava un po’ oscurando il ruolo del Cavallino».
Un giorno nel 2014 disse che la Ferrari era una “macchina di merda”. Lei era il presidente.
«Mi chiamò per scusarsi. Una volta gli feci provare la Ferrari 348 per sapere che cosa ne pensasse. “È meglio la Golf Gt”’, mi disse. “Il motore fa un gran casino ma poi la macchina resta ferma”’. È un uomo schietto che dice le cose che pensa, dritto per dritto. Ma anche per questo è una persona di una lealtà straordinaria. Siamo amici da sempre, da quando andai a incontrarlo a Linate per fare la trattativa per portarlo a Maranello. Gli chiesi quanto voleva. Mi rispose in scellini. Non avevo idea di quanto valessero. Corsi a comprare il Sole 24 Ore in edicola».
Si dice sia un uomo di un’avarizia leggendaria.
«Al tempo giravamo spesso sul circuito di Fiorano, poi alla sera andavamo a mangiare all’hotel Canal Grande… Al momento di pagare non si trovava mai... Anzi adesso che ci penso quando a settembre lo incontrerò alla festa a Ibiza gli presento il conto...».