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 2018  agosto 04 Sabato calendario

Il freddo Seicento ha cambiato la storia d’Europa

E se l’interesse e la preoccupazione per il tempo che fa non riguardassero soltanto il cachet stellare di Fabio Fazio, e neppure la possibilità o meno- di passare un fine settimana al mare, ma fossero legittime e giustificate inquietudini relative addirittura ai destini del mondo? Questa, riportata un po’ superficialmente, è la tesi svolta dallo storico Philipp Blom nel suo avvincente saggio Il primo inverno, pubblicato da Marsilio (traduzione di Francesco Peri, pagg. 288, euro 18) con l’eloquente sottotitolo La piccola era glaciale e l’inizio della modernità europea 1570-1700. Il libro nasce da una domanda semplice: come si trasforma una società quando cambia il clima?
Partendo da dati scientifici obiettivi, come il calo di temperatura, ossia i due gradi in meno registrati in Europa tra il 1570 e la fine del 1600, Blom traccia i possibili anzi, probabili- collegamenti tra fenomeni meteorologici come i mutamenti climatici e vicende che hanno segnato la storia dell’umanità come, ad esempio, la caduta dell’Impero romano e la sconfitta dell’Invincibile Armata, il Grande Incendio di Londra del 1666 e addirittura l’unicità straordinaria dei violini Stradivari. Già, perché, anche se la decadenza dei costumi e le invasioni barbariche sono generalmente ritenute i colpevoli della fine di Roma, c’è da segnalare, tra i possibili complici, anche un’anomala e intensa fase di attività vulcanica che, proprio verso il 450 d.C. avrebbe saturato l’atmosfera con ceneri e pulviscoli in grado di scatenare una piccola era glaciale dalle conseguenze imprevedibili. Per quanto riguarda, invece, la sconfitta dell’imponente flotta voluta da Filippo II, che nel 1588 avrebbe potuto porre fine all’ascesa della nuova potenza talassocratica guidata da Elisabetta, dobbiamo imputare a un uragano, scatenato appunto dal generale abbassamento della temperatura, la distruzione del naviglio spagnolo e l’inizio del dominio mondiale inglese. 
Dall’acqua al fuoco, il passaggio è più breve di quanto non si pensi: ai rigori dell’inverno e agli acquazzoni primaverili facevano, infatti, da corollario brevi ma intense estati torride, che bruciavano i già scarsi raccolti, scatenando rivolte e disordini che spesso sfociavano in roghi, sui quali bruciavano, un po’ caprio espiatorio, un po’ olocausto apotropaico, streghe e stregoni. Ma non sono i raccolti l’unica vittima della siccità: le intelaiature e le travi degli edifici londinesi, tutte di legno, si asciugarono talmente sotto il sole implacabile della breve estate del 1666, che bastò un piccolo incendio in una panetteria di Pudding Lane per trasformare la capitale inglese in un immenso falò. È più o meno dello stesso periodo, poi, la diffusione delle enclosures, ossia la recinzione dei terreni demaniali a uso comune, dovuta al passaggio dall’agricoltura, funestata dal maltempo, alla pastorizia, con la conseguenza che ai poveri fu negato anche l’accesso alla terra, divenuta tutta proprietà privata. 
Come tutte le cose, anche la piccola era glaciale ha i suoi lati positivi, che in questo caso riguardano l’inimitabile creazione, verso la fine del XVI secolo e l’inizio del secolo successivo, degli strumenti ad arco prodotti da liutai come gli Stradivari, gli Amati o i Guarneri, che rappresentano un’eccellenza impossibile da riprodurre. L’ipotesi ripresa da Blom, e avanzata da alcuni accademici della Columbia University, è che il segreto di quegli strumenti sia racchiuso nel legno degli abeti, che il freddo di quegli anni aveva modificato, producendo una fibra dalla grana più stretta. Alla fine del libro siamo convinti che il clima influisca sulle vicende umane più di quanto non ci immaginiamo.