il Fatto Quotidiano, 3 agosto 2018
Berluscomiche
Pensavamo che la lunga, interminabile stagione berlusconiana avrebbe avuto un crepuscolo degno della tragedia che è stata. Invece sta finendo in farsa, anzi in pochade. L’altroieri quel che resta del centrodestra forza-leghista che, fra alti e bassi, è stato maggioritario in Italia per 24 anni ininterrotti, s’è schiantato in mille pezzi contro un nome di tre lettere: Foa, nel senso di Marcello, l’ex caporedattore esteri del Giornale, dove tuttora tiene un blog sul sito. Dopo un quarto di secolo trascorso a strillare contro l’egemonia gramsciana della sinistra sulla cultura e sulla tv e a cercare (invano) un intellettuale conservatore che ne incarnasse il contraltare, il centrodestra pareva averlo trovato in Foa. Non grazie a una rigorosa selezione, ma per puro caso, come accade nei boschi ai cercatori di tartufi o di funghi. I 5Stelle, il ministro Tria e il perfino il premier Conte avevano detto no alla candidata di Salvini e Giorgetti: il ronzino di ritorno Giovanna Bianchi Clerici, già parlamentare della Lega e poi consigliera d’amministrazione della Rai, a cui aveva procurato (in combutta con gli altri colleghi berlusconiani) un danno erariale di una dozzina di milioni con la nomina illegittima del dg Alfredo Meocci, e si era beccata una condanna per danno erariale dalla Corte dei Conti e un processo penale per abuso d’ufficio finito in prescrizione. Promuoverla a presiedere l’ente pubblico che aveva così ben amministrato non pareva un’ottima idea.
Così, nell’ultima notte utile, dal cilindro di Salvini era saltato fuori Foa, autore di duri attacchi all’euro e a Mattarella, nonché simpatizzante di Putin e Savona. Il fatto che Foa non fosse un politico trombato, né un portaborse di partito, ma avesse un mestiere per conto suo, fra l’altro nel ramo televisivo – amministra il gruppo multimediale del Corriere del Ticino – faceva di lui un presidente Rai certamente migliore dei precedenti targati centrodestra: tipo “Lottizia” Moratti, che la tv l’aveva vista solo nel salotto di casa sua, o Antonio Baldassarre, che a stento distingueva un televisore da un tostapane però era amico di Previti. Ma ecco il capolavoro di B.: anziché felicitarsi per l’approdo in Rai di un bel conservatore anticomunista, ex dipendente del suo Giornale, esperto di tv ma non sospettabile di conflitti d’interessi perché non viene da Mediaset, lettore e addirittura autore di diversi libri, per giunta accusato da sinistra di simpatizzare per il suo amico Putin e di antipatizzare per il suo nemico Mattarella, lo boccia. In tandem col Pd. E ora gli eventuali elettori forzisti si domandano cosa gli sia passato per il capino.
Nessuno può credere che abbia detto no perché Salvini l’ha avvertito solo all’ultimo, o perché non gli ha chiesto il permesso: lui, quando occupava la Rai, faceva la stessa cosa con la Lega. E nemmeno il berlusconiano più impermeabile al sense of humour, sentendo i forzisti e i pidini tuonare all’unisono contro la lottizzazione gialloverde, riesce a trattenere le risate al pensiero di quel che han fatto questi spudorati per 25 anni sulle spoglie esanimi del servizio pubblico. Nel nuovo Cda il Pd ha appena ripiazzato una consigliera uscente che per cinque anni era sempre sfuggita ai radar: tal Rita Borioni, laureata in storia dell’arte, già autrice e conduttrice di Red Tv (la tv clandestina del Pd, ovviamente fallita), ma soprattutto segretaria-portaborse di quei gran geni di Orfini e Marcucci. E FI ha votato Giampaolo Rossi, l’ex fidanzato dell’ex portavoce di B., Deborah Bergamini, ora in quota FdI, mentre alla presidenza della commissione di Vigilanza voleva riciclare Gasparri, poi fra le risate generali ha sistemato il neosenatore ed ex mezzobusto Mediaset Alberto Barachini. Si dirà: FI fa parte della minoranza antigovernativa, normale che voti contro il presidente della maggioranza. Vero. Ma non s’era mai vista una coalizione con un partito che sta al governo e l’altro sta all’opposizione ma consente al primo di cornificarlo col proprio peggior nemico. E poi, come ha ricostruito Fabrizio D’Esposito, il no di FI a Foa non l’ha voluto B., che anzi sul letto di dolore del San Raffaele s’era convertito al sì: gliel’hanno imposto Letta&Tajani, i due tordi che si credono colombe.
Il primo ha detto a B. che, cambiando idea, avrebbe “perso la faccia”, come se ne avesse mai avita una. Il secondo gli ha ricordato di essere il vicepresidente di FI (cosa di cui nessuno si era accorto) e ha minacciato le dimissioni (di cui nessuno si sarebbe accorto). Così il pover’ometto ha dovuto comunicare di aver “preso atto” della decisione del partito e di averla “naturalmente condivisa”, sconcertando quanti pensavano che chi condivide non prende atto e chi prende atto non condivide. La verità è che a B. del presidente Rai non frega niente, specie ora che quella carica conta poco o nulla. Di più: a B. non frega niente neppure della idee del presidente Rai. Anzi, per dirla tutta: a B. non frega niente delle idee, punto. Infatti ha sempre preferito i servi sciocchi ai berlusconiani intelligenti e dunque incontrollabili, tipo Vittorio Feltri. E, appena ha potuto, s’è liberato pure di Del Debbio, Belpietro e Giordano. Se ora Salvini gli avesse promesso un tg, o una rete, o entrambe le cose, B. avrebbe votato non solo Foa, ma pure Lenin e Trotzkij. Invece Salvini s’è recato al capezzale a mani vuote, senza nemmeno una poltroncina-omaggio. E l’anziano infermo se n’è lavato le mani, mettendosi in quelle di Letta, Tajani e altri reduci del Nazareno. Se ora qualcuno non lo riconosce più e gli rinfaccia l’incoerenza con le idee di centrodestra, vuol dire che non l’ha mai conosciuto. Montanelli, che lo conosceva bene, lo diceva già vent’anni fa: “Berlusconi non ha idee: ha interessi”.