Libero, 3 agosto 2018
Il politicamente corretto offende la lingua italiana
Le parole sono importanti, e possono essere usate come pietre, ma bisogna conoscerle. Il linguaggio umano è pieno di termini considerati discriminatori che tutti noi usiamo correntemente, a volte intenzionalmente e più spesso senza rendercene conto, con varie finalità, che possono essere di rafforzo o di paragone, per sottolineare un concetto o un’opinione, oppure per offendere o deridere un nostro interlocutore. Oggi però impera il politically correct, e molte parole definite “parallele” o dal doppio significato nella lingua italiana vengono considerate scorrette e discriminatorie, sgradevoli e ripugnanti, ed estrapolate dal contesto nel quale vengono pronunciate, sono spesso usate contro chi le vocalizza nel suo logico ragionamento non sempre offensivo. L’uso comune del dare del cretino ad un interlocutore, per esempio, allude alla deficienza mentale tipica del “cretinismo”, una patologia permanente ed irreversibile dovuta alla carenza di un ormone tiroideo e di iodio, la cui assenza provoca la nota disabilità cognitiva cerebrale, una volta molto diffusa nelle valli del bergamasco. Dare del pazzo, del demente e del deficiente ad una persona, spesso significa intendere che quella persona appare ai nostri occhi deficitaria intellettualmente, ed in genere lo si fa senza confronti maliziosi, od intenti offensivi verso i malati affetti da demenza o altri deficit cerebrali. Molte parole del linguaggio internazionale infatti, sono state coniate proprio sul paragone di un noto handicap, di una malattia o di uno stato morboso, insomma sull’esempio di patologie una volta molto diffuse, e per questo immediatamente comprensibili alla maggioranza della popolazione, perché richiamano appunto uno stato conosciuto e noto a tutti.
TRATTI ASIATICI
Mongoloide, per esempio, è un termine scientifico che indica la fisionomia delle persone affette dalla Sindrome di Down, i cui tratti del viso ricordano quelli asiatici fisiologici delle popolazioni della Mongolia. Tale sindrome, dovuta ad una alterazione cromosomica detta Trisomia21, e la cui caratteristica principale è di essere sempre associata ad un ritardo nella capacità cognitiva, comporta negli individui portatori di tale anomalia un Quoziente Intellettivo medio di circa la metà di quello considerato normale. Il termine mongoloide viene per questo motivo usato spesso a sproposito, e rivolto a persone delle quali si intende sottolineare la ridotta capacità di comprensione, ma non per questo è da ritenere offensivo, discriminatorio o ridicolizzante nei riguardi delle oltre 40mila persone affette dalla Sindrome di Down, poiché tale termine richiama immediatamente una caratteristica dal significato diretto e percepibile a tutti. Dare del cieco, del sordo, del muto o del paralitico ad una persona, non significa affatto insultare i diversamente dotati, ma usare i neologismi tipo “non vedente o non udente” diminuirebbe l’enfasi e la forza del principio che si vuole comunicare. Diciamo che tutto dipende dall’impiego che si fa delle parole, perché nel concreto dell’esprimersi può accadere che qualsiasi parola o frase, del tutto neutra in sè, in circostanze molto particolari può diventare colorita ed essere usata per ferire, per esprimere per esempio odio. E se per comunicare odio, un sentimento spesso utile alla psiche, le parole non sono tutto, anche l’odio però non può fare a meno delle parole, ed è stato coniato il termine hate words per indicare un elenco di parole odiose, che provocano dolore perché considerate dispregiative per natura, anche se in origine non lo erano affatto. Sono i termini definiti oggi i peggiori per esprimere discriminazione, per esempio degli eterosessuali sugli omosessuali (frocio), dei bianchi sulle minoranze razziali o etniche (negro), degli uomini sulle donne (puttana), dei cristiani sui fedeli di altre religioni (giudeo), delle persone normodotate sulle persone con disabilità (ritardato), e così via, e per quanto ampia sia la definizione di ognuna di queste parole, l’attenzione si è concentrata nel significato insultante nei confronti di categorie deboli, o ritenute tali. Ma non è forse anche questa una sottile e vile forma di discriminazione? Esiste infatti una vasta categoria di parole che non sono in sè volgari o insultanti, nè sono riconducibili a stereotipi etnici e sociali, ma che nel tempo sono divenute e catalogate come spregiative. Coglione per esempio, che deriva dal termine principale di origine popolare riferito ai testicoli, e che appare nei testi italiani fin dal duecento, continuatore del latino popolare tardo “colleonem” che indicava persona sciocca o incapace, è diventato oggi forse il più diffuso insulto diretto, declinato anche al femminile. Quello che voglio sottolineare è che alcune parole, che in passato avevano un valore prevalentemente neutro, ma descrittivo e immediato, e che comunicavano un messaggio diretto, chiaro ed evidente, come per esempio la parola negro, nelle pieghe del loro significato modificato nel corso della storia politica e sociale di ogni paese, esse hanno acquistato accezioni nate da usi ed abusi spregiativi, che oggi ne permettono o ne proibiscono ipocritamente l’utilizzazione in tale funzione. La nostra lingua è meravigliosa, ed abbiamo parole per amare, per odiare, per pensare, per vendere, per comprare, per fingere, per ferire, per gratificare, per piangere, per tacere, ed abbiamo parole per fare rumore o semplicemente per parlare, che usiamo senza la pomposità tecnica di una lessico-semantica in prospettiva pragmatica.
LA COMMISSIONE
Eppure l’italiano è il primo parlamento nazionale che, nella scorsa legislatura, sull’imput della presidente Laura Boldrini, ha istituito addirittura una Commissione, composta da deputati, senatori e rappresentanti delle Istituzioni, sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni d’odio, con il compito di condurre attività di studio e di ricerca per censire le parole d’odio circolanti in Italia e cercare di condannarle come unpolitical correct. Lo studio fortunatamente non è stato portato a termine, e pensare che sarebbe bastato recarsi nel vicino mercato di Campo de’ Fiori, o al limite semplicemente consultare Internet, per identificare quali altre parole ingiuriose, dall’uso allocutivo, vocativo, dispregiativo ed offensivo avrebbero potuto essere individuate ed identificate direttamente dentro e fuori quel Parlamento.