Libero, 3 agosto 2018
In carcere ci sono più crimini che fuori
5.157 atti di autolesionismo, 585 tentati suicidi, 3.545 colluttazioni, 571 ferimenti, 5 tentati omicidi, 46 decessi per cause naturali e 25 suicidi (una media di 4 al mese), 2 evasioni da istituto, 27 da permessi premio, 7 da lavoro all”esterno, 7 da semilibertà, 17 da licenze concesse ad internati. È una fotografia allarmante ed inquietante quella che ci consegnano i dati relativi al sistema penitenziario italiano, che sembra pronto ad implodere anche a causa di un sovraffollamento crescente. Ad incidere negativamente è la massiccia presenza di stranieri, arrivati a quota 19.868 (dato del 30 giugno 2018). Il 31 luglio, all’interno dell’istituto penitenziario di Udine, intorno a mezzogiorno, un ventottenne friulano con problemi psichici, indagato e detenuto per tentata rapina, ha dapprima aggredito con pugni in faccia lo psichiatra nel reparto infermeria e poi si è scagliato contro il personale di polizia penitenziaria, intervenuto prontamente sul posto. Immobilizzato e sedato dai medici, il giovane è stato condotto presso un luogo di cura esterno, dove sarà seguito da specialisti formati. Del resto, la galera non rappresenta per questo tipo di soggetti l?ambiente idoneo, anzi esso rischia di aggravarne le problematiche, rendendoli più sofferenti e più violenti.
TROPPO TARDI
Poche ore dopo, nel pomeriggio, un detenuto transessuale brasiliano di 33 anni, arrestato in mattinata per rapina e rinchiuso in cella, dalla quale era uscito due giorni prima dopo 48 ore di carcerazione, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo annodato alle sbarre della finestra della stanza singola in cui era stato ubicato. Quando l’agente di polizia penitenziaria della sezione si è accorto del gesto estremo, era ormai troppo tardi ed inutili sono stati i tentativi di rianimare l’uomo. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Sappe, conduce una strenua battaglia affinché vengano risolte al più presto le criticità del sistema, prima tra tutte la riduzione degli organici per effetto della riforma Madia, che rende arduo attuare una sorveglianza adeguata. «L’addetto alla sezione del piano terra, luogo del tragico evento, doveva controllare altre due sezioni detentive più la rotonda del piano ed il cortile passeggi. Nello stesso momento ricopriva 5 posti di servizio», spiega il segretario regionale del Sappe del Friuli Venezia Giulia, Giovanni Altomare, che si dice preoccupato per il clima teso. Insomma, all’aumento del numero dei reclusi si è fatto fronte in modo bizzarro, ossia con una riduzione del numero degli agenti. Il 29 luglio, nel carcere di Poggioreale, un detenuto di Torre del Greco, in regime di alta sicurezza, si è ucciso nella sua cella, approfittando dell?assenza dei compagni di stanza. Qualche giorno prima, sempre a Poggioreale, un altro uomo era ricorso al gesto estremo come unico tentativo per tirarsi fuori dalle sbarre. «Tali eventi evidenziano come i problemi sociali ed umani permangono nei penitenziari, lasciando isolato il personale di polizia penitenziaria nella gestione di questa emergenza», dichiara Emilio Fattorello, segretario della regione Campania del Sappe.
LA SALUTE
«Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri, nonostante gli istituti penitenziari debbano preservare la salute e la sicurezza dei reclusi. L’atto di darsi la morte da parte di un carcerato costituisce un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Sarebbe utile un programma di prevenzione e l’organizzazione di un servizio di intervento efficace», sottolinea Donato Capece, segretario generale del Sappe, che ritiene che «il regime penitenziario aperto, che prevede che le celle restino spalancate più di 8 ore al giorno, sia controproducente poiché lascia i reclusi nell?apatia». Più utile sarebbe, secondo il segretario generale, impegnare i carcerati in attività di lavoro o studio. Ed è per la mancanza di attività, oltre che per il sovraffollamento che rende impossibile l’applicazione di un trattamento individualizzato di recupero del reo, che fallisce lo scopo della carcerazione, ossia quello rieducativo, volto alla restituzione alla società di cittadini migliori. Ecco perché i detenuti continuano ad entrare e ad uscire dalle celle, come se la galera fosse la loro casa e l’esistenza dietro le sbarre l’unica vita a loro concessa. Senza alternative, se non il suicidio.