La Stampa, 3 agosto 2018
Rossini, lo “Stabat” interruptus
Più che un incompiuto, lo Stabat Mater di Rossini è un raro caso di capolavoro compiuto «a rate». Due, per la precisione: la prima nel 1832 e la seconda dieci anni dopo. La storia è lunga ma non complicata. Com’è noto, nel 1829 Rossini scrisse a Parigi la sua ultima opera, Guillaume Tell: era il musicista più famoso del mondo, ma aveva soltanto 37 anni e inaugurò un «silenzio» che ne durerà altri 39. Sulle sue ragioni sono colati fiumi di congetture e d’inchiostro: un combinato disposto di guai fisici, controversie giudiziarie, depressione, rifiuto dell’arrembante estetica romantica e magari anche un certo esaurimento creativo.
Sensibile al denaro
E poi, dopo la rivoluzione del 1830 a Parigi, quella della Libertà che guida il popolo di Delacroix, Rossini iniziò un’interminabile causa allo Stato francese. Il nuovo regime di Luigi Filippo si rifiutava infatti di onorare il contratto, vantaggiosissimo, che Rossini aveva strappato a quello vecchio di suo cugino Carlo X, o meglio al suo responsabile delle Belle arti, il visconte Sosthène de La Rochefoucauld che, benché eccessivamente prude (rimase celebre il suo ordine alle ballerine dell’Opéra di allungare i mutandoni), era l’unico membro di una corte di decerebrati ad aver capito quale lustro portasse alla Francia la presenza a Parigi di Rossini.
Qui entra in scena un nuovo personaggio, lo spagnolo Alejandro Maria Aguado (1785-1842). Aveva debuttato come militare, poi si era stabilito a Parigi dove era diventato ricco importando frutta e ricchissimo speculando sui titoli di Stato spagnoli. Tanto Creso e tanto indispensabile per le vacillanti casse madrilene che il Re di Spagna Ferdinando VII, un altro Borbone, lo fece marchese di Las Marismas. Ora, per diventare amici di Rossini essere miliardari non era indispensabile ma aiutava, tanto più che Aguado aveva le mani in pasta anche nella gestione dell’Opéra e del Théâtre des Italiens. I due diventarono intimi. Rossini scrisse parte del Comte Ory e del Tell nella tenuta dello spagnolo, al Petit-Bourg. E nel ’27 compose anche la Cantata per il battesimo del figlio del banchiere Aguado, il secondogenito Olympe, destinato a diventare un pioniere della fotografia. Secondo il biografo di Aguado, Jean-Philippe Luis (il suo libro, L’ivresse de la fortune, non è stato tradotto in italiano), in quell’occasione Aguado regalò a Rossini un Bréguet d’oro con una catena pure aurea, il tutto del valore di 5 mila franchi, oppure «di mille Napoleoni di Argento», come scrisse Rossini a suo cognato Guidarini: e «all’idea di quel metallo» il sommo Gioachino, com’è noto, non era insensibile.
Nel febbraio ’31, Aguado andò a Madrid per discutere di soldi con il Re in persona. Ed ebbe l’eccellente idea di portarsi dietro la star del momento, appunto Rossini. I due si fermarono nella capitale tredici giorni in pieno Carnevale, festeggiatissimi da tutti, da Ferdinando VII in giù. Alla vigilia della partenza, fu offerto loro un grande banchetto nel sontuoso palazzo di don Manuel Fernandez Varela, molto mondano arcidiacono della cattedrale. Forse fu in quell’occasione che Varela chiese a Rossini di scrivergli uno Stabat Mater. In ogni caso, Rossini accettò con l’intesa che il brano non sarebbe stato pubblicato e avrebbe avuto soltanto delle esecuzioni private.
Una «prima» leggendaria
Tornato a Parigi, Rossini tergiversò. Ma Varela insisteva. E così si arrivò, nel 1832, alla composizione del «primo» Stabat Mater. Rossini, già alle prese con i problemi di salute e l’esaurimento nervoso, non riuscì però a finire il lavoro. Così, dei dieci «numeri» dell’opera, compose soltanto i primo e quelli dal 5 al 9. I restanti (2-4 e il finale) furono affidati a Giovanni Tadolini, maestro al cembalo e direttore del coro degli Italiens, noto soprattutto come musicista consorte di Eugenia Savorani, poi appunto Savorani-Tadolini, grande soprano già verdiano. In questa versione «a quattro mani» lo Stabat fu eseguito a Madrid, nella Cappella di San Filippo el Real, il 5 aprile 1833, Venerdì Santo, molto ben recensito e poi più o meno dimenticato. Ma due anni dopo Varela morì e gli eredi vendettero la partitura. Nel ’41, Rossini fu informato che era in possesso dell’editore parigino Aulagnier che si apprestava a pubblicarla. Rossini diffidò Aulagnier e contemporaneamente offrì l’opera al suo editore parigino, Troupenas, con l’impegno a completarla, e così fu (al povero Aulagnier non restò che editare i brani di Tadolini). Lo Stabat-bis, questa volta interamente rossiniano, ebbe una prima esecuzione privata, in Casa Herz, il 31 ottobre 1841; la «prima» pubblica avvenne il 7 gennaio dell’anno seguente, agli Italiens, con un favoloso quartetto di solisti: Grisi, Albertazzi, Mario, Tamburini.
Ma fu la «prima» italiana a entrare nella leggenda. Fu voluta, organizzata e provata dallo stesso Rossini a Bologna, dov’era tornato a vivere. Rossini chiese a Gaetano Donizetti di dirigere. Donizetti arrivò a Bologna da Milano, dove aveva presentato alla Scala la sua Maria Padilla e ascoltato (e molto apprezzato) l’opera nuova di un giovane, il Nabuconodosor di tale Giuseppe Verdi. A Bologna lo Stabat ebbe tre acclamatissime esecuzioni, il 18, 19 e 20 marzo 1842, in una sala dell’Archiginnasio che da allora è chiamata «Sala dello Stabat Mater».
Rossini, emotivamente molto fragile, si presentò al pubblico solo alla fine della terza serata. Così Donizetti raccontò la scena nel suo italiano fantasista: «Salse sul palco ov’io diriggeva e mi abbracciò, e mi baciò, e le grida ne assordavano ambedue. Al mio partire mi regalò 4 bottoncini per memoria, e piangeva dirottamente stando al collo mio attaccato, dicendo sempre non abbandonarmi, caro amico». Rossini era evidentemente malato, ma il mondo aveva guadagnato un capolavoro.