Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 03 Venerdì calendario

Google si censura per ritornare in Cina

Nel 2010 Google usciva dal mercato cinese dicendosi non più disposta a tollerare la censura imposta dalle autorità di Pechino. Otto anni dopo, il motore di ricerca si starebbe invece preparando a tornare in Cina grazie a una app sviluppata appositamente per gli utenti della Repubblica popolare. 
Niente Tiananmen sul Web
Il piano – reso pubblico da «The Intercept» – prevede che entro 6 o 9 mesi Google lancerà una app per Android dove saranno filtrati automaticamente i risultati delle ricerche con termini politicamente sensibili: la tragedia della Tiananmen del ’89, il Dalai Lama e le informazioni sulla leadership di Pechino. Inoltre, Dragonfly – come è conosciuta la app negli uffici di Google – non indicizzerà Facebook, Twitter, il «New York Times» e gli altri siti bloccati dal Great Firewall, il sistema della censura su Internet in Cina.
 Il ruolo del Ceo Sundar Pichai
«Un giorno nero per la libertà di Internet», l’ha definito Amnesty International. Il gigante di Mountain View starebbe lavorando allo sviluppo della app fin dalla primavera dello scorso anno, ma l’accelerazione ci sarebbe stata solo dopo un incontro tra Sundar Pichai, ceo di Google e un alto esponente della nomenklatura di Pechino. «Vogliamo essere in Cina», aveva detto Pichai nel 2016, solo una manciata di mesi dopo essere arrivato alla guida del colosso tecnologico. Nel 2010, all’apice di un contenzioso con le autorità locali, il gigante di Mountain View aveva rimosso i filtri della censura dalla versione locale del motore di ricerca. Da allora, la maggior parte dei servizi offerti dal colosso della Silincon Valley – Gmail, YouTube e le semplici funzioni di ricerca – sono bloccate nella Repubblica popolare. 
Etica e mercato
Google era stata una delle poche aziende internazionali a uscire dall’enorme mercato cinese per motivi etici. Anche se già prima che Google venisse oscurato in Cina, molti avevano notato che il motore di ricerca americano aveva perso la sfida con Baidu, la scelta preferita dall’80% degli utenti cinesi. Questo sarebbe solo l’ultimo tentativo fatto dal gigante della Silincon Valley di rientrare nella Repubblica popolare: un mercato da 750 milioni di utenti Internet, in gran parte da smartphone e tablet, che non può però essere ignorato da Google. Nonostante la censura su molti prodotti, in questi anni Google ha mantenuto una presenza in Cina: circa 700 dipendenti del colosso americano continuano a lavorare negli uffici di Pechino, Shanghai e Shenzhen, mentre il sistema operativo Android è tra i più usati sugli smartphone cinesi. A dicembre Google aveva anche promesso l’apertura a Pechino del suo primo laboratorio sull’Intelligenza Artificiale in Asia. Il colosso di Mountain View ha annunciato un investimento di 550 milioni di dollari nel gigante dell’e-commerce JD.com.
Molti rimangono scettici che Pechino autorizzerà in tempi brevi l’ingresso di Dragonfly sul mercato cinese e ieri il quotidiano cinese Zhengquan Shibao ha negato l’indiscrezione. «Forniamo una serie di app in Cina, come Google Translate e Files Go, aiutiamo gli sviluppatori in Cina e abbiamo investimenti significativi in aziende cinesi come JD.com», ha detto un portavoce di Google. «Ma non facciamo commenti su piani futuri».