Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  agosto 03 Venerdì calendario

Le manovre dei russi sul web e l’attacco coordinato a Mattarella

Domenica 27 maggio, a partire dal tardo pomeriggio, il capo dello Stato Sergio Mattarella inizia a fare i conti con il lato deteriore dei «social network». Senza che fosse chiaro come e da dove sia partito l’ordine, migliaia di profili di Twitter iniziano improvvisamente a bombardare la Rete con la stessa parola d’ordine: #MattarellaDimettiti. Luigi Di Maio, oggi vicepremier e già leader della prima forza politica del Paese, aveva appena chiesto la messa in stato d’accusa del garante della Costituzione che si era limitato a esercitare le sue prerogative: aveva rifiutato di avallare la scelta di un esponente anti-euro come ministro dell’Economia senza che ciò fosse stato discusso nei programmi elettorali. 
Per la verità quello slogan, #MattarellaDimettiti, resta presente anche in questi giorni sul web fra i simpatizzanti di populisti e dei sovranisti. Però in quelle ore di fine maggio conobbe una diffusione esponenziale, esplosiva. Non era il frutto di un’operazione trasparente, ma venne chiaramente coordinata con cura: lo si intuiva dall’attivismo di tanti snodi digitali, molti dei quali anonimi e tutti impegnati a far crescere il più in fretta possibile il rumore di fondo attorno allo slogan prescelto.
In quel momento un dettaglio sfuggiva a tutti: almeno una ventina dei profili di Twitter coinvolti nella campagna digitale contro il capo dello Stato avevano una storia controversa. Probabilmente anche di più di venti. Nel passato recente quei profili su Twitter, che appartengono a italiani del tutto ignari, erano stati usati una o più volte dalla Internet Research Agency (Ira) di San Pietroburgo per far filtrare nel nostro Paese la propria propaganda a favore dei partiti populisti, dei sovranisti e degli anti-europei. Gli stessi «account» che fino a poco più di un anno prima erano stati rilanciati, fatti rimbalzare e a volte sollecitati a intervenire sulla Rete da parte di agenti russi sotto copertura, adesso stavano attaccando Mattarella. È impossibile sapere se i troll russi, nascosti nella loro «fabbrica dei falsi» a San Pietroburgo, abbiamo avuto un ruolo anche nell’alimentare l’ultima campagna contro il capo dello Stato: i dati per potersi pronunciare su questo aspetto non sono di dominio pubblico. Ma alcuni di coloro che presero parte a quell’attacco digitale di fine maggio erano già stati sollecitati dai russi in modo occulto, dunque a loro insaputa, in casi precedenti.
Su questo non c’è più alcun dubbio. È una delle conclusioni dall’analisi a campione di circa due terzi dell’enorme banca dati sull’attività dell’Ira pubblicata nei giorni scorsi dal sito americano «Firethirtyeight». I dati, quasi tre milioni di tweet, sono parte dell’archivio studiato dal procuratore speciale Robert Mueller, che indaga sulle interferenze russe nelle presidenziali del 2016 e nella politica americana in genere. Li hanno estratti (legalmente) due ricercatori, Darren Linvill and Patrick Warren della Clemson University e Twitter ha confermato che provengono da profili legati all’Ira di San Pietroburgo. Quei profili oggi sono stati cancellati con l’esplodere del Russiagate. In gran parte sono in inglese ma se ne trovano circa 16 mila in italiano, alcuni dei quali attraverso la figura chiave di un troll anonimo in particolare: Elena07617349. «Elena» a volte scrive in inglese e finge di essere americana (dice per esempio il 4 gennaio 2017: «Possiamo e dobbiamo imparare dalla Russia» nel rapporto con i musulmani). Altre volte però «Elena» è italianissima: chiama Barack Obama «negher» e viene rilanciata da altri troll russi anonimi per esempio quando definisce le Coop «bande di ladri legalizzate dallo Stato»; dice che «questi arabi del c. si sono bevuti il cervello»; lamenta «i fondi impiegati per i clandestini»; propone di mandare l’ex presidente della Camera Laura Boldrini in Libia con un gommone o si ripromette di spararle in testa; accusa il Pd di finanziare la Fondazione Clinton con il denaro dei contribuenti. 
A questi e altri post su Twitter, brandelli di conversazioni alimentati occultamente dai russi, vengono associati moltissimi italiani reali. È evidente che i russi sperano che quelli rilancino. In particolare il «Corriere» ha contato una ventina di questi profili autentici, attivi nell’inverno 2016-2017, che si ritroveranno poi fra coloro che partecipano all’attacco digitale a Mattarella. Nessuno di questi italiani complotta in nessun modo, non sanno di avere a che fare con troll russi. Si limitano a scambiare opinioni, spesso fra anonimi. Ci sono profili vicini alla Lega di Matteo Salvini come «@LisaDaCa» o «@eryka_bo» o ammiratori di Beppe Grillo come «@taxistalobbysta». 
Elena07617349 (oggi «soppressa» dai russi) è però molto abile: coinvolge e associa spesso al dialogo i leader d’opinione della destra-destra. Eccola dunque criticare i musulmani con Madgi Allam e Maurizio Gasparri, promettere «quattro calci in culo al governo» con Francesco Storace, criticare il trattato di libero scambio fra Europa e Canada con Alessandra Mussolini. Ma nessuno di loro sa fin dove arriva la mano dei russi in Italia, né fino a quando.