Corriere della Sera, 3 agosto 2018
Sulla Rai M5s e Lega stanno superando il limite legale
Finora, la nuova maggioranza ha usato a piene mani il potere di nomina di organi parlamentari, di amministratori di società con partecipazione pubblica, di componenti di autorità indipendenti, di consigli di garanzia delle diverse magistrature, seguendo un antico uso, ma mostrando la fretta di chi si mette alla tavola per la prima volta. Ora, però, essa corre il rischio di superare quella sottile linea che separa l’uso legittimo di poteri dalla violazione delle norme.
Sia la legge sul servizio televisivo del 2015, sia il successivo statuto della Rai dispongono che la nomina del presidente, fatta dal Consiglio di amministrazione, diventa efficace se ha il parere favorevole (in pratica, una approvazione) dei due terzi dei componenti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi televisivi. Il Consiglio di amministrazione della Rai ha fatto una proposta che non ha avuto quella supermaggioranza. Esso avrebbe dovuto affrettarsi a fare un’altra proposta. Invece, presieduto dal consigliere più anziano di età, che era anche la persona designata (ed è, quindi, in conflitto di interessi), prende tempo. Antonio Polito ha lucidamente indicato le implicazioni politiche di questo stallo. Se questo si protraesse, diventerebbe anche una tensione tra maggioranza e minoranza parlamentare su una decisione per la quale la legge richiede un loro accordo.
I nsistere, ripresentando la stessa proposta, o, peggio, consentire che il candidato che non ha ottenuto la supermaggioranza continui nell’esercizio delle funzioni vicarie, come consigliere anziano, significa sfidare le regole della democrazia.
Un’altra forzatura è quella aperta, in sede parlamentare e in sede governativa, sulla nomina del presidente della Consob. Su di essa si è già pronunciata la Corte dei conti e l’atto di nomina è stato già da tempo firmato dal presidente della Repubblica. Porre in dubbio, a distanza di mesi, tale nomina e la sua correttezza, apre una strada senza fine, perché così ogni governo sarà tentato di ritornare indietro alle investiture già decise, aprendo conflitti – questa volta – non tra attuale maggioranza e attuale minoranza, ma tra maggioranza di oggi e maggioranze di ieri. Un appetito retrogrado di questo tipo conduce a una inedita competizione «across time».
Introducendo, nel 1984, una sua raccolta di saggi dal titolo «Il futuro della democrazia», Norberto Bobbio scriveva che «per regime democratico s’intende primariamente un insieme di regole di procedura per la formazione di decisioni collettive in cui è prevista e facilitata la partecipazione più ampia degli interessati». Una di queste regole è quella che prescrive supermaggioranze. Un’altra è quella che impone il rispetto del principio «stare decisis».
Sulla scia di Madison e di Jefferson, Tocqueville, già nel 1835, metteva in guardia contro il dispotismo della maggioranza, a cui riteneva vi fossero solo due barriere, la giustizia e la ragione. Da allora, tutte le Costituzioni moderne e molte leggi dispongono che su questioni etiche, religiose, linguistiche, costituzionali, la maggioranza non debba pronunciarsi da sola, ma debba poter raccogliere anche il consenso di una minoranza. Da noi, questo è previsto, ad esempio, per le prime votazioni dirette alla elezione del presidente della Repubblica e per le modificazioni della Costituzione.
Un altro principio essenziale della democrazia è quello che non si modificano, durante il gioco, le relative regole, e che non si riaprono le partite chiuse, come farebbe chi mettesse in dubbio tutte le decisioni già raggiunte, anche per l’incertezza che questo produrrebbe circa il punto al quale ci si vuole fermare.
È singolare che la tentazione di limitazioni tanto rilevanti del tasso di democraticità del nostro ordinamento venga proprio da un governo che promette maggior democrazia.