La Stampa, 3 agosto 2018
Citazioni
Sui social ci si insulta sanguinosamente perché davanti al computer non ci sono filtri: è un rapporto senza l’altro, che non prevede la buona educazione o perlomeno l’ipocrisia. Lo dicevo nella rubrica di ieri. Un’amica legge e mi scrive allegandomi un pezzo di otto anni fa, in cui sosteneva che l’irraccontabile non esisteva già più, era tempo in cui si raccontava tutto, specie di sé. Rispondo che nel Decennio dell’Io, libro degli Anni Settanta, Tom Wolfe spiegava come eravamo diventati il centro del nostro universo, e descriveva una donna in una seduta pubblica che, invitata a eliminare dalla vita qualcosa di profondo, gridò: «Emorroidiii» (ecco che cosa stava diventando il centro del mondo). Lei mi risponde tirando fuori Canetti (Anni Sessanta) e di come l’individuo, quando diventa massa, esalta il suo senso di persecuzione. Tocca a me: Simone Weil (Anni Quaranta) irrideva chi in campagna elettorale vede lobby di qui e di là, l’oscuro nemico, e tutti ci cascano. Lei rilancia con Hannah Arendt: la politica ormai consiste nel pregiudizio verso la politica. Bè, dico, in un romanzo di fine Ottocento, Vamba (il papà di Giamburrasca) ritrae il passeggero di un treno che ruggisce contro un onorevole, siccome viaggia gratis e in Parlamento si gratta la pancia, e noi paghiamo. Insomma, verso sera, in questo viaggio nella velleitaria lotta al pregiudizio, eravamo ormai arrivati agli antichi romani. Lei s’è giocata la carta Ovidio: è pericoloso, data la facilità con cui si sbaglia, vivere puntando solamente sull’onestà. Io mi sono dichiarato sconfitto con Cicerone: mala tempora currunt.