la Repubblica, 2 agosto 2018
L’eBay dei poveri strega i cinesi e vola al Nasdaq
«Le persone che vivono all’interno dei cinque anelli di Pechino non ci possono capire». Più che un piano aziendale, quella di Colin Huang pare una rivendicazione di classe. E una specie di rivoluzione Pinduoduo l’ha fatta per davvero in Cina.
Basta fare l’identikit al popolo del suo e-commerce, 56 milioni di utenti che ogni giorno si mettono in gruppo per fare la spesa. Per lo più casalinghe, da altre parti si direbbe disperate. La maggior parte vive lontano dalle scintillanti metropoli da cartolina, i cinque anelli di Pechino, in anonimi agglomerati urbani che qui chiamano di quarta o quinta fascia. Cittadini comuni della Cina profonda la cui priorità non è accaparrarsi le ultime sneakers o i cosmetici di importazione, ma spendere il meno possibile per mele e carta igienica, il prodotto più venduto su Pinduoduo. Dal Manifesto secondo Huang: «La nuova economia non è dare agli abitanti di Shanghai la vita di un parigino, ma portare carta igienica e frutta fresca nell’Anhui».
Intendiamoci: il 38enne ingegnere, studi negli Stati Uniti e un passato in Google, non lo fa per spirito umanitario. In appena tre anni Pinduoduo è diventata il suo biglietto di ingresso nel club più esclusivo, quello dei miliardari. Con la felice quotazione della scorsa settimana al Nasdaq la startup è stata valutata 30 miliardi di dollari, proiettando la sua parte a 14, tredicesimo uomo più ricco di Cina. Eppure dietro al successo c’è la capacità di leggere la crescente divaricazione nella società del Dragone, tra una avanguardia urbana educata e cosmopolita, la cui ricchezza cresce rapida, e una classe medio-bassa che avanza assai più lenta. Con un’intuizione: che il web possa soddisfare anche le esigenze e i gusti più tradizionali di quest’ultima, comunque munita di smartphone.
Basta vedere come ha disegnato la sua app. Ci si aspetterebbe di trovare in alto la classica barra di ricerca, invece è nascosta, roba per chi sa ciò che vuole: qui si parte dalle offerte del giorno, un po’ come sui nostri volantini dei supermercati. Le casalinghe dell’Anhui hanno tempo per esplorare e voglia di chiacchierare: una volta individuato l’affare formano un gruppo di acquisto invitando le amiche su Wechat, la versione cinese di Whatsapp, la cui casa madre Tencent è tra i primi soci di Pinduoduo. Un incrocio tra Walmart e Disneyland, lo ha definito Huang, ma perché no, anche un gruppo di acquisto solidale 2.0.Il problema semmai è che con clienti del genere, che si tuffano su un lenzuolo a 4 euro, un ombrello a 2 o una confezione di noodles istantanei per spiccioli, non si fanno soldi a palate. La spesa media su Pinduoduo è di appena 6 dollari, contro i 30 degli shop di Alibaba e i 60 di JD, i colossi di cui ormai Huang può dirsi a pieno titolo concorrente e che sui loro scaffali sfoggiano sempre più lusso. Ma le città “dell’altra Cina” sono comunque metropoli da milioni di abitanti, e così questo striminzito carrello Pinduoduo lo moltiplica per 300 milioni di clienti attivi, piazzando pure gli spazi pubblicitari ad anonime aziende disposte a vendere in stock, qui non mancano.
Risultato? Un fatturato che solo nei primi tre mesi di quest’anno ha quasi raggiunto quello dell’intero 2017, turbato solo da un mal comune dell’e-commerce mandarino, il gran numero di falsi in vetrina. La conferma che mentre la seconda Cina vede fuggire via Shanghai, Pechino o Shenzhen, sviluppa un suo web fatto di servizi e applicazioni diversi, un nuovo mercato. Nell’ultima nidiata di startup del Dragone molte hanno costruito la propria fortuna lì.
L’aggregatore di notizie Toutiao (valutazione del gruppo 45 miliardi), che raccoglie una collezione di storie e video stile” strano ma vero” dal Paese profondo. O l’app dei mini video Kuaishou ( 18 miliardi), dove tra gare di rutti, giovani ragazze madri e scherzi tra bulletti va in scena uno spaccato di vita rurale: «Uno specchio del mondo, non di quello che le élite vogliono vedere», ha detto il fondatore Su Hua. Parole che Huang potrebbe sottoscrivere, lui che ha lasciato Google prima che i suoi bonus maturassero del tutto, che venera il tycoon” democratico” Warren Buffett e che ha già destinato il 2,3% delle azioni a una fondazione benefica. A Pechino non possono capire.