la Repubblica, 2 agosto 2018
Chinatown in laguna, il vetro di Murano non è più made in Italy
Alle sei del mattino l’addetto alla nettezza urbana afferra i cartoni con stampati i caratteri cinesi, li schiaccia e li scaraventa sul camioncino. «Il vetro del Dragòn xe come le corna: si fanno, tutti ne parlano ma nessuno lo sa!». Murano o Chinatown in laguna? L’alba dell’isola del vetro rischia di dissolversi in un cupo tramonto.
Lo capisci girando per le calli tra palazzo Giustinian, il Duomo e il vecchio faro; è una cartolina stinta dove le fornaci si trasformano in b&b e le botteghe vendono brocche ricordo e conchiglioni portafrutta a 12 euro ed è lì, all’esterno di questi negozi che attirano turisti con marchi a “tutela” appiccicati in vetrina per coprire il tarocco made in China, è lì che anche i cartoni “parlano”. «Il vetro di Murano sta morendo. Tra un po’ raccoglieremo solo cocci, anzi macerie», dice Simone Cenedes, fornace e negozio al civico 68 di Fondamenta dei vetrai. Maestro e figlio d’arte. Solo che oggi i maestri vetrai sono come i panda: sempre di meno, soffiano e modellano e intanto vedono andare lentamente in fumo un distretto che dopo oltre sette secoli di storia sta incrociando l’anno zero. «Siamo passati dai 10mila lavoratori del Dopoguerra agli 800 attuali. Ti sbatti per mandare avanti un’attività e a 50 metri da te c’è uno che vende roba di importazione spacciata per Murano». Brutta storia questa bolla di vetro infetta, crisi nera per un settore d’oro che vale 165 milioni e non si capisce perché lo stiano lasciando sfiorire sotto i colpi delle falsificazioni, che si mangiano il 60% del fatturato.
Paradosso nel paradosso: tutto si consuma in una regione, il Veneto, particolarmente attenta a blindare i propri fiori all’occhiello. «Dovremmo imparare dai francesi – ragiona Gianni De Checchi, direttore di Confartigianato Venezia – Qui invece nessuno muove un dito». In quarant’anni gli artigiani di Murano si sono dimezzati, idem le fornaci di prima lavorazione (dalla materia prima al prodotto finito): da 120 a 60. Che fine fanno? Chiudono, o diventano strutture alberghiere. Avanti di questo passo i turisti che vengono per il vetro troveranno solo hotel e b&b e lo shopping lo faranno nei bazar che commerciano robaccia. Ancora De Checchi: «Spuntano marchi di ogni tipo, ognuno si fa il suo logo».
"Murano”, “made in Murano”, “glass”, “original”. Come per il prosecco e il parmigiano reggiano la fantasia vola ma le paroline magiche con cui acchiappare il compratore-avventore, gira e rigira, quelle sono. In realtà un marchio che dovrebbe disciplinare e tutelare il prodotto originale di Murano esiste: si chiama “Vetro artistico Murano”, è gestito dal Consorzio Promovetro e, di fatto, appartiene alla Regione Veneto. Per il governo di Venezia dovrebbe rappresentare un asset economico strategico. Eppure nell’agenda delle priorità commerciali della Regione del “doge” Luca Zaia il vetro non sembra occupare le primissime posizioni (nulla in confronto al vino con le bollicine che viene pompato a livello planetario).
Sono 35 le aziende che aderiscono a “Vetro artistico Murano” (nato nel ‘94), ma sono numerose (e famose) quelle che hanno deciso di stare fuori. Il che alimenta la confusione. «Il marchio dà fiducia ai consumatori e dignità ai produttori», dicono dal consorzio. Tanti non sono d’accordo. Dice Piero Nason Moretti, titolare dell’omonima azienda di bicchieri: «Bisogna puntare sui brand aziendali e promuovere la propria immagine con le proprie forze. È quasi impossibile una promozione collettiva o consortile. Può andare bene per una mono produzione tipica come lo è il Parmigiano o la mela trentina, ma non per il vetro». E quello cinese? «Esiste e non deve fare paura, anzi deve essere di stimolo a abbandonare il low cost». Sensibilità diverse, affari e interessi che si sfiorano su un’isola di 4 mila 500 abitanti che è nata sul vetro (nel 1291 le vetrerie di Venezia furono trasferite qui per mettere fine ai disastrosi incendi causati dai forni dei laboratori della città) e che adesso rischia di andare in frantumi.Curiosità: Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, è proprietario della storica fornace Salviati e anche della Scuola del vetro Abate Zanetti. Anche lui è tra quelli che il marchio-no. O meglio: ne vorrebbe uno nuovo, tipo il dop degli alimentari. Peccato che in Italia il food sia sacro, il resto meno. A ogni modo Brugnaro ha garantito che «il vetro di Murano non è a rischio».
Riccardo Colletti, segretario dei chimici (Filctem) della Cgil, parla di «interessi in conflitto, non solo istituzionali ma anche tra aziende». Intanto i cartelli “Vendesi” fuori dalle fornaci aumentano e lo storico edificio del marchio Venini è andato all’asta. Altro albergo? Forse. Lo show-down potrebbe arrivare dietro le quinte del prossimo “The Venice glass week”, il festival internazionale dell’arte del vetro di Murano in programma a settembre. Ci sarà anche Andrea Dotto, Ceo e Founder di “Purho”.
«Ho investito nel settore perché sono innamorato di questo prodotto e della straordinaria filiera artigianale che ci sta dietro.Ma occorrono tutele serie, l’Italia non può permettersi di perdere una delle proprie eccellenze nel mondo».