Bisognava dirglielo prima a Marcello Foa: lascia perdere la Rai, non è ancora cosa da grillini e sovranisti.
E adesso fa un po’ ridere, ma mette pure un filo di pena immaginarsi il promesso e non ancora mancato presidente sull’isoletta greca, la signora incerta sul destino delle vacanze — torniamo? restiamo? che dice Berlusconi? — e intanto le telefonate degli amici, «certo che, detto fra noi, quel tweet su Mattarella te lo potevi risparmiare», e poi, «santiddio, che bisogno avevi di prendere posizione sui vaccini?»...
Così come stringe il cuore, ma qualche sghignazzo se lo tira appresso, il pensiero di Salvini che ieri mattina alle 8, a piedi nudi come a Canossa e in ideale tenuta di sacco, ha dovuto bussare all’ospedale San Raffaele dove si era rinchiuso Berlusconi per chiedergli i voti, e Silvione, che poveraccio non si meritava la visita, beh, nemmeno glieli ha concessi.
Ecco come è cattiva, la Rai. Che si arrende, certo, si adegua, figurarsi, si adatta benissimo a chiunque la voglia possedere, ma proprio a cagione di questa sua mortificante attitudine di disturbata e crudele passività resta una bestiaccia terribile, da allegoria infernale e dantesca.
Chi sventolerebbe d’altra parte un pezzetto di carne sotto gli occhi gelidi e il muso bombato di un gattopardo?
La Rai, qui e ora, è per la nouvelle vague sovranista e putiniana un essere molto più pericoloso di Soros, che sta lontano lontano.
Oltretutto è una roba nostra, tutta italiana. Anche solo a farsi un girettino sul catalogo dei libri — che magari Salvini, preso com’era dal flipper, se n’è scordato di affidare il compito a qualche neo-patriota — si trovano titoli come “Maledetta tv”, “MalaRai”, “RubeRai”, “Rainuncia”, vorrà dire qualcosa. Il palazzo di viale Mazzini è ufficialmente cancerogeno. La statua del cavallo (morente) ebbe il membro tagliato, perché giudicato troppo lungo. Il modello architettonico degli stabilimenti di Saxa Rubra è quello di un carcere di massima sicurezza, c’è chi dice venezuelano.
Ora magari è chiedergli troppo, non sia mai, ma quando ancora non esisteva la tv commerciale, e quindi c’era solo la Rai, è a questa che Pasolini faceva riferimento indicandola come responsabile, nientemeno, che del “genocidio” della popolazione. Che si può pure essere in disaccordo, ma forse le vacanze greche si potevano salvare, e quel buffo e solenne comunicato evitare, e pure la capatina al capezzale di Berlusconi, povero cristiano.
Come al solito: occorreva maggiore prudenza. E fiato, spalle, cervello ed esperienza.
Adesso viene fuori che il povero Foa può fare il presidente in seconda, anziano, che è già una parola simpatica. Ma certo! Così, se qualcuno non le aveva dato il peso che meritava, la narrazione prosegue e si accresce generando qualche gustosa immagine. Come la volta che il professor Baldassarre, emerito della Consulta, si ritrovò a presiedere un consiglio d’amministrazione che entrava, si disse, “in una Smart”. Gli altri consiglieri infatti si erano dimessi, lasciando solo l’emerito a fronteggiare qualche altra graziosa occorrenza Rai, tipo che si era infatuato di una vistosa valletta — un classico: di lei i giornali pubblicavano sempre una foto distesa su una moto — e lui era stato costretto a imbastire una delle più tragicomiche difese che la storia della dirigenza radiofonica ricordi: «È la figlia che non ho mai avuto».
Quindi può consolarsi, Foa, sia pure dal Canton Ticino, prima che sia troppo tardi. I presidenti a viale Mazzini hanno la vita grama. Craxi ne fece saltare tre di seguito, prima di trovare quello giusto, Manca, che andasse d’accordo con la Fininvest. Nel frattempo i suoi litigavano di brutto, pure rinfacciandosi favoritismi di natura sessuale — “l’albero delle zoccole” — ma non è che su questo potesse troppo moralizzare, avendo fatto affidare a Moana Pozzi un programma per la tv dei ragazzi, “Tip Tap Club”.
I democristiani, d’altra parte, non è che se ne stavano con le mani in mano. Pierre Carniti, che non era il loro, e anzi aveva parlato dell’«Azienda delle 11 mila tessere», non lo fecero nemmeno avvicinare alla presidenza, che sta al settimo piano, detto “la Rosa dei Beati”.
Dalla Seconda Repubblica arrivò alla Rai uno sprint e tutto divenne, se possibile, ancora più divertente e al tempo stesso più desolato perché all’azienda fu consegnato il compito di proiettare immagini pubbliche che la politica non era più in grado di produrre autonomamente.
Vennero i professori. Letizia Moratti cambiò tre direttori generali in due anni, “come collant”. Ci fu la lobby di San Patrignano e la Terrazza gauchiste di Siciliano, l’Editto berlusconiano di Sofia, l’imperdibile saga legaiola del “Barbarossa” (sappia Salvini che le comparse erano rom), le raccomandazioni massive e intercettate di attricette, una seconda ondata di zoccole alleate nazionali e perfino una tentata invasione dei Tullianos improvvisatisi produttori.
Ma qui è inutile fare la storia della Rai. Basta ricordare che è la Scatola Nera del potere, quindi un Tritacarne e insieme un Theatrum Mundi. Sembra strano dirlo, ma occorre esserne all’altezza. Prima si capisce, prima lo capiscono, e meglio è.
Nel frattempo, astenersi dilettanti.