il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2018
Quando Lucio Trentini salvò Dario Argento dall’attentato bomba Raf
Che Dario Argento sia vivo è merito suo: “Se Trentini – ha rivelato nel memoirPaura – non ci avesse distratto con le sue Mercedes avremmo fatto una brutta fine”. Monaco di Baviera, il set diSuspiria (1977, il remake di Luca Guadagnino è alla 75esima Mostra di Venezia), Argento e il direttore della fotografia Luciano Tovoli ripassano le location dell’indomani, con loro il direttore di produzione Lucio Trentini, notorio appassionato di Mercedes: un autosalone cattura la sua attenzione, i compagni lo seguono, alle spalle l’esplosione è devastante. La Raf (Rote Armee Fraktion) ha firmato l’ennesimo attentato, fossero rimasti dov’erano non l’avrebbero raccontato. A dar retta al figlio scenografo Marco, quella salvezza non fu casuale, ma programmata: l’organizzatore generale, il direttore di produzione, il produttore esecutivo, il “cercasoldi” prima di tutto deve badare alle persone sul set, deve farle stare bene perché il film venga bene. Sesto senso, gioco d’anticipo, messa in sicurezza: il pericolo è scampato.
Lucio Trentini ha passato una vita a far quadrare i conti, pianificare soluzioni, appianare divergenze: in sottrazione ha portato qualche spesa, mai le persone. A casa non parlava di lavoro, sicché Marco sapeva che il padre faceva il cinema, ma come non l’avrebbe potuto spiegare. Fermare l’auto per abbracciare Argento gliel’ha visto fare in un assolato pomeriggio al Quartiere Africano, ma di Monaco l’ha letto anche lui.
Per intendere quanto stretto e prezioso fosse il rapporto con un altro cineasta gli è servito un documentario di Silvia Giulietti,Gli angeli nascosti di Luchino Visconti: maestro dentro e fuori dal set, viene indagato e svelato dalle sue maestranze, tra cui l’organizzatore generale degli ultimi tre film,Ludwig(1973),Gruppo di famiglia in un interno(1974) eL’innocente(1976). È Trentini, con l’inganno, a mettere nella stessa stanza Luchino e l’imperatrice Elisabetta d’Austria, ovvero la Romy Schneider di Ludwig: i due avevano litigato pesantemente, ognuno esigeva pubbliche scuse, Lucio riuscì a mettere l’una davanti all’altro, e si mise fuori a origliare. Silenzio assenso, lo scazzo era superato.
Prima che conte Visconti era un signore, e ai collaboratori più stretti regalava Bulgari e Vuitton. Ludwigè in cantiere, Natale è alle porte, Lucio – rammenta Marco – vuole esprimergli la propria riconoscenza e il lusso pare la strada giusta: chiedi e richiedi in giro, il maestro non disdegnerebbe delle pantofole di Battistoni, e così se ne va un mese di stipendio.
Poco importa, se non fai della troupe una famiglia screzi, gelosie e litigi dilanieranno il set.Il tè nel desertonon fu film facile, in itinere tra Marocco, Algeria e Mali, zeppo di grandi nomi, e con gli egoismi che si sprecano: i collaboratori del direttore della fotografia, Vittorio Storaro, sono abituati a essere coccolati, Trentini deve mediare e accomodare.
I grandi esistono anche lì, nell’organizzare: Trentini, Laura Fattori, Pino Butti, e forse pure per il cinema l’essenziale è invisibile agli occhi. Di fatto, il pubblico ignora: il puzzle enorme che è, e che se manca un tassello il film va a rotoli.
Il produttore della vita è quello che, in buona compagnia, Lucio chiamava “il” produttore: Dino De Laurentiis. Ci fa una dozzina di titoli, anche gli ultimi, emendabili:U-571, con Matthew McConaughey e Jon Bon Jovi, eUnforgettable, con Ray Liotta. La fedeltà è fuori busta, l’ammirazione formato famiglia: “Mio padre aveva una venerazione per Dino. Era un uomo duro, ma di cuore, sapeva il mestiere, era il primo ad arrivare sul set, l’ultimo ad andarsene”. E, dice Marco, s’è inventato totem quali Arnold Schwarzenegger e Al Pacino. Il primo Lucio lo conosce quando non è ancora nessuno,Red Soniagirato in Italia, lo rincontra quando è più di qualcuno,Total Recallgirato in Messico: Schwarzy condivideva albergo e palestra con la troupe, nessuna bizza e, per lui, un sigaro di 30 centimetri da custodire come una reliquia.
Ce ne sono, di star della porta accanto: Trentini fa il barbecue con Liotta in Canada; dà del tu a Gregory Peck, la classe per antonomasia; prepara la pizza e balla con Halley Berry in mezzo al deserto marocchino. Ouarzazate, dove i Trentini contribuiscono a progettare gli ennesimi Studios di Dino, ad hoc per l’Alessandro il Grandedi Ridley Scott mai realizzato: è lì che, potenza della parabola, cast & crew dellaBibbiadi De Laurentiis guardano la finale dei Mondiali ’94.
Si può stare molto bene sul set, accade a Orbetello perL’isola del gabbiano: l’amministratore Adalberto Spadoni per scherzo mette a soqquadro la camera di Lucio, che subodora e assapora la vendetta, invitandolo con i colleghi di reparto fuori a cena per sistemare le cose. Pesce e vino ad libitum, Lucio non sente ragioni e paga per tutti, con un assegno che equivale alla paga di una settimana: l’ha preventivamente staccato dal blocchetto di Adalberto, di cui falsifica la firma.
“Famme lavora’”, quando è all’apice del successo è un mantra, e Trentini non si tira indietro. Ma la riconoscenza non la conoscerà: il 29 dicembre del 2010 la figlia Paola muore in seguito a un incidente, lascia due bambini e un vuoto che Lucio, già malconcio, non sa affrontare. “Ha chiuso gli occhi e s’è lasciato andare”. Raggiunge Paola un anno più tardi, i funerali sono in forma privata al Circeo: salvo sparute eccezioni, il direttore di produzione Stefano Spadoni, Mimmo Stefanucci di Roma Trasporti, il cinema l’aveva già sepolto.