Libero, 2 agosto 2018
Che sacrilegio l’Harley Davidson più piccola ed elettrica
Ma che cos’è quell’obbrobrio, con le plastiche, gli spigoli, la vita alta, il sedere su come un paio di jeans, le linee tutte uguali alle altre moto, tutte uguali come le modelle di Tezenis, che cosa è questa moto americana che sembra una giapponese o una Ducati che prima di lei ha ceduto alla bruttezza della modernità, alla globalità, alla voracità dei millennial, a tutte queste parole del vocabolario osceno che ci toglie la poesia come il piretro toglie gli insetti agli uccelli. Ma i millennial e i globali e i produttivi vivono di solo pane, no, anche di uno vale uno e uno è uguale a tutti. Ma la Harley Davidson no, non dovevate, perché toccare una così magnifica imperfezione, solo per vendere un’altra moto neppure fatta più in America.
ICONA ADDIO Che pena, portare via non solo l’industria dall’America ma anche l’America da se stessa; che pena per l’America sfigurare così la sua grande moto fatta per le sue infinite strade dritte e lisce, immersa in linee rotonde e larghe, con quello stile bellissimo degli anni Quaranta. No, non ne voglio sapere di perdere queste moto che hanno l’obbligo di essere immortali, ci vorrà pure qualcosa che sta fermo in questo mondo ondeggiante: la loro pesantezza di tre quintali e mezzo, comode come panchine che saltano, con un’enormità tonante nel motore; moto che non girano ma curvano appena, così vicino a terra che a piegare fresano gli scarichi e lanciano ondate di scintille, non frenano ma rallentano, che fanno cadere da fermi e in velocità centrano tutte le bestie che volano, che vibrano come un martello pneumatico. E che se prendono una buca volano e disarcionano chi guida, nervose e luminose come i cavalli, ma a voi, millennial delle mie scarpe, non piacciono i cavalli? Inutile. La mia geremiade è inutile. Arriveranno moto leggere, con motori piccoli ed elettrici che in strada passeranno con un soffietto da richiamo per cani, che sono buone per tutto, il traffico, i signorini e le signorine; moto carine e stonate, come quegli uomini che sono etero ma si truccano come le donne, mettono le cremine, santo cielo la dignità, siate uomini o siate gay, e le moto siano moto o siano bici, o scooter, non un misto, e le Harley siano Harley o siano niente. Io mi tengo il mio pezzo di motore stellare da aeroplano, i miei pistoni a corsa lunga che spruzzano calura, che ai semafori devo scendere dalla sella per non bruciare, mi tengo il mio pezzo di ferro verniciato alla più non posso, così bianco e scintillante, come la balena di Melville, io ce l’ho anche fatto scrivere sopra, Chiamatemi Ismaele, Call Me Ishmael. Ismaele io sono, e se fino a oggi ho sfidato tutte le vostre astronavi giapponesi e tutti i vostri scuterini scoreggianti sfiderò anche le vostre traditrici elettriche, finché non mi verrà vietato.
MARMITTE APERTE
E se un giorno non mi faranno girare in centro perché la mia moto è raffreddata ad aria allora girerò fuori dal centro; e se non mi faranno girare fuori dal centro perché la mia motocicletta non è euro sette o otto allora andrò a girare sui viali. E se poi non mi faranno girare sui viali perché è troppo rumorosa con le sue marmitte aperte e il suo canto levantino, allora andrò in tangenziale, e se infine non potrò girare in tangenziale perché la cilindrata è troppo grossa, perché consuma troppo, perché le gomme sono troppo larghe, perché la mia moto è una macchina del tempo senza le sospensioni e quando ci si gira sopra sembra di essere sdraiati su una slitta sbronza, ecco allora andrò a girare sulla Luna, dove non ci sarà più nessuno di voi, millennial delle mie scarpe, e tutte le regole, il mercato, l’industria, non potranno non dico prendermi, ma neppure dire qualcosa che io possa sentire, e un giorno arrossirete perché io sono andato a correre in moto sulla Luna e voi no, voi solo ai semafori sotto il sibilo della vostra motoretta senza cuore, fanculo.