Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2018
La donna cinese dietro alla rivoluzione dell’Intelligenza artificiale
Google si sta trasformando: «Crediamo fortemente – dice Sundar Pichai, Ceo dell’azienda – che il futuro del computer sia l’intelligenza artificiale Per noi il futuro è “Ai first”». E nel centro della trasformazione c’è una esile donna cinese di 42 anni naturalizzata americana, con una delle menti più acute del nostro pianeta quando si parla di Ai.
Fei-Fei Li è arrivata a 16 anni nel New Jersey con i suoi genitori, senza conoscere la lingua e senza risorse economiche. Ha studiato in quello che definisce “un mediocre liceo” della east coast e poi ha vinto una borsa di studio per Princeton. Ha lavorato tutte le sere e i fine settimana per mantenersi e comprare una lavanderia ai suoi genitori; mentre successivamente, di borsa di studio in borsa di studio, ha conseguito un dottorato di ricerca lavorando nel settore della visione artificiale (il suo progetto ImageNet ha rivoluzionato il settore) e delle neuroscienze cognitive e computazionali. Da anni è ricercatrice a tempo indeterminato a Stanford, dove dirige il laboratorio per l’intelligenza artificiale. Ed è innamorata dell’Italia. Anzi, soprattutto di un italiano: il marito Silvio Savarese, anche lui professore a Stanford, con il quale ha avuto due figli.
«Sono venti anni che lavoro attorno all’Ai. È la convergenza di tre cose: algoritmi sempre più avanzati, potenza di calcolo e la grande disponibilità di dati di questi ultimi anni». Li è anche chief scientist per Ai e apprendimento automatico di Google Cloud Platform: è lei che guida il pensiero e lo sviluppo degli algoritmi che poi diventeranno gli strumenti sui quali costruire funzionalità e prodotti. A partire da AutoML, l’ultimo servizio cloud realizzato da Google e nuovo motore di sistemi di apprendimento automatico che imparano da soli grazie ad altri sistemi automatici costruiti per addestrarli. In pratica: una Ai capace di addestrare un’altra Ai in un nuovo settore.
Più Ai per tutti, insomma. Ma è proprio così? C’è infatti (più di) un lato etico. Li è una ottimista: è tra quelli scienziati della Silicon Valley che non vuole trasformare l’Ai in un’arma, come invece vuol fare il programma militare americano “Maven”, che ha Google tra i suoi fornitori. «Seguo la posizione etica indicata da Diane Greene, la responsabile di Google Cloud, e del Ceo Sundar Pichai», dice. Il tema però è caldo: il malumore dentro Google è diventato una vera e propria crisi di identità per l’azienda. Con una petizione di 4mila dipendenti contrari ai contratti di Google con il Pentagono (tutt’ora in essere).
Poi c’è tema della paura del pubblico per l’Ai. Temuta da Bill Gates ed Elon Musk, dallo scrittore e matematico Vernor Vinge e dal pioniere della realtà aumentata Jaron Lanier, sino allo scomparso Stephen Hawking. Perché aver paura dei computer che imparano e lavorano meglio? «Il campo di ricerca dell’Ai è vecchio di 60 anni. Si tratta di un ciclo di innovazione analogo ad altri che ci sono stati prima, con un potenziale molto grande per dare alle aziende e le persone la possibilità di fare cose migliori: sono ottimista ma bisogna capire bene, spiegare bene e sviluppare le competenze adatte in modo da usare i nuovi strumenti in maniera responsabile».
C’è infine anche il tema dell’occupazione, anzi del rischio di perdere posti di lavoro: «Come per la rivoluzione industriale, si creano opportunità per alcuni e problemi per altri. Bisogna lavorare con tutta la società, ma per me questa è una grande opportunità: le macchine possono aiutare veramente molto. Possono aumentare e migliorare le capacità delle persone».
Perché soprattutto Fei-Fei Li è convinta di una cosa: «Credo nella tecnologia benevola, che ha un impatto positivo. Il mondo è un posto complesso ma possiamo usare questo strumento per aiutare le persone, fare migliore ricerca, dare più strumenti ad esempio ai medici e agli insegnanti. Ci sono tante cose che possiamo automatizzare in maniera intelligente: la nostra opportunità e responsabilità è dimostrare che può essere così».