Corriere della Sera, 2 agosto 2018
Un manuale sulla grafica che vale la pena leggere
Cominciamo dalla fine. «Abbiamo fatto molta strada con gli ebook: facilità, convenienza, portabilità. Ma qualcosa si è definitivamente perso: la tradizione, un’esperienza sensuale, il conforto degli oggetti e anche un po’ di umanità». Si chiude con questa citazione di Chip Kidd, scrittore, editore e designer statunitense, Fare grafica editoriale (Editrice Bibliografica), un manuale e molto di più, in cui Franco Achilli, visual designer, classe 1957, anno in cui appare l’Helvetica, cuce con il filo rosso della passione, storia, tecnica, progettazione e lessico dell’artefatto libro che, nella sua forma analogica, resiste nell’era digitale.
La carta che flagra«Un oggetto grafico senza tempo – scrive l’autore nell’introduzione – che stabilisce con noi una relazione tangibile e tattile, oltre che visiva e spesso anche olfattiva. La magia della carta che flagra, diversamente dall’indiscutibile emozione della potenziale interattività di un ebook, rende le distanze tra noi e un autore più intime e ricche di senso». Il libro, in quanto concentrato di saperi tipografici, tecnologici e artistici che rendono unico nella sua «ontologica bellezza» un prodotto intellettuale e industriale, racconta molto più delle storie che contiene, è anche figlio e specchio dei tempi.
Dalle grotte di Lascaux al pcSfogliando le 175 pagine del manuale, anzi del libro di Achilli, tutte corredate e impreziosite da una parte visiva che scorre nella parte bassa della gabbia, si passeggia lungo un percorso scandito dal segno grafico che l’autore racconta in tutte le sue declinazioni e implicazioni. Si passa dai (di)segni alle parole, dai graffiti nelle grotte di Lascaux a Gutenberg, da Manuzio e Bodoni alle avanguardie del Novecento, dal Bauhaus alla nuova tipografia, dai giganti della grafica editoriale, Johnston (l’inventore dell’alfabeto della metropolitana di Londra), Koch, Gill, Zapf, Frutiger, El Lisickij, Tschichold al Futura disegnato da Paul Renner e all’Helvetica di Max Miedinger, font in cui è composto il lavoro di Achilli. Doveroso il tributo ad Aldo Novarese che ha mantenuto viva la cultura tipografica italiana e del disegno del carattere con la sua ricca produzione e collaborazione esclusiva con la Nebiolo. A pagina 58 irrompe il pc, con la sua «dotazione inaudita, inconcepibile per un tipografo-compositore del XVIII secolo ma anche per un grafico o un tipografo del secolo scorso».
La libertà della gabbiaCura e rispetto dovrebbero ispirare mente, mano e mouse di quanti, grazie alla liquidità del computer, passano con un semplice clic da un carattere all’altro ignorando storia, cultura e regole. Il rischio è quello dell’inquinamento visivo contro cui tuonava Massimo Vignelli con il suo esclusivo scrigno di soli sei caratteri senza tempo: Garamond, Bodoni, Century expanded, Futura, Times roman ed Helvetica. Cura e rispetto che connotano Fare grafica editoriale nella parte dedicata alla progettazione e alla grammatica compositiva, dalla spaziatura dei caratteri all’uso del colore, dall’impaginazione delle immagini all’editing e alla correzione delle bozze. Il tutto ruota intorno alla gabbia, definita così nella citazione di Vignelli riportata dall’autore: «Una gabbia tipografica è come la gabbia del leone, se il domatore ci resta troppo a lungo, il leone se lo mangia, devi sapere quando lasciarla», e ancora «la gabbia è come la biancheria intima, la indossi ma non la devi esibire».
L’artefatto libroRispetto anche per l’oggetto-libro in quanto tale. «La grafica editoriale – scriveva nel 1988 Aldo Colonetti nel prezioso catalogo della mostra Disegnare il libro – non può perdersi nella grande figura del libro, ma non può nemmeno diventare, essere il libro: è necessario riconsegnarlo al testo. E in questa riconsegna fondamentale sarà un ruolo non pretestuosamente protagonistico della comunicazione visiva editoriale». Un invito a «ricondurre il libro nel suo specifico materiale e disciplinare» quanto mai attuale alla luce della supremazia di logiche progettuali ispirate da un marketing sempre più egemonico che trasforma l’artefatto libro in una merce tra le altre merci.
A come aberrazioneIl lavoro di Achilli, dedicato non solo ai visual designer ma anche a tutti coloro che svolgono un ruolo o vogliono orientarsi nel processo di ideazione e realizzazione del libro si chiude con un glossario che parte dalla A di aberrazione, tecnicamente definita come distorsione di un’immagine. Uno sguardo a tutto tondo, a partire dai dati sulla lettura, circa 33 milioni (57,6% della popolazione) le persone con più di 6 anni che non hanno letto nemmeno un libro in un anno, ne dilata il significato e ci dice che sarebbe ora di provare l’emozione di voltare pagina per vivere – come scrive nella prefazione Armando Milani, presidente Alliance Graphique Internationale, Italia – «il fascino della scoperta di qualcosa che ci è ancora ignoto».