Corriere della Sera, 2 agosto 2018
Nel 1983 Michael Schlosser costruì un aereo rudimentale ma fu arrestato dalla Stasi. Ora ci riprova
Icaro è tornato a Dresda. E vuole volare. Anche perché quell’unica volta, a bruciargli le ali non era stata la sua imprudenza, ma la Stasi, la polizia segreta della Ddr. Altrimenti, ne è sicuro, ce l’avrebbe fatta a fuggire dalla Germania Est, passando il confine a bordo della sua macchina volante.
Michael Schlosser oggi ha 74 anni. Ma l’ex meccanico specializzato in grandi motori non ne vuol sapere di abbandonare il sogno di una vita, anche se non deve più scappare verso la libertà. Una questione di orgoglio, il senso di una missione incompiuta da portare a termine, un cerchio da chiudere prima di tutto con se stesso e i propri fantasmi.
Aveva poco meno di 40 anni, Schlosser, nel 1983. Dirigeva il parco macchine della televisione di Stato della Ddr a Dresda, ma aveva un chiodo fisso in testa. Fuggire a Ovest, superando la cortina di ferro in un modo folle: con un velivolo fai da te, assemblato per anni nel segreto di un garage amatoriale in piena campagna sassone. Schlosser si era diplomato meccanico nelle officine aeronautiche della Volksarmee, l’esercito della Ddr. Aveva appreso qualche rudimento di aerodinamica da un testo antiquato: «Il miracolo dei voli a vela». Poi si era messo al lavoro, partendo dal motore di una Trabant, l’auto del popolo. Ne era venuta fuori una «cosa» da 265 chili di peso, capace di levarsi da terra e raggiungere la velocita di 120 chilometri all’ora.
La prova generale la fece il 14 agosto del 1983, su un campo di esercitazione delle truppe sovietiche. Rischiò di finir male subito, perché un gruppo di soldati dell’Armata Rossa sbucò dalla foresta proprio mentre scaricava dal furgone i pezzi della creatura. «Ebbi prontezza di spirito – dice Schlosser a Bernd Hauser, il giornalista della Berliner Zeitung al quale per primo ha raccontato la sua storia – dissi che lavoravo per la televisione, il che era tecnicamente vero, e che per una nuova serie avevo bisogno di testare il velivolo». Gli credettero, anche grazie a un paio di bottiglie di vodka che aveva portato per ogni evenienza. Anzi, lo aiutarono ad assemblare il trabiccolo e assistettero al prodigio della «cosa» con lui a bordo, che riuscì a staccarsi due metri da terra. Poi di nuovo giù, perché la foresta si avvicinava. Ma i russi lo applaudirono.
Non sarebbe più tornato, Schlosser, sul campo. Quando tutto era pronto, un collega di lavoro raccontò alla Stasi del suo interesse per un articolo sui deltaplani su una rivista ungherese. Perquisizione del garage. Scoperta del velivolo. Denuncia, arresto, processo, condanna a cinque anni di reclusione per tentata diserzione di Ikarus (il suo nome nel dossier della polizia segreta) dalla Repubblica Democratica Tedesca. Rimase in prigione solo sei mesi, poi la Germania Ovest, secondo una prassi consolidata, pagò 96 mila marchi per la sua libertà. Schlosser si trasferì a Ludwigshafen, nel Palatinato, dove tornò a fare il meccanico, con i suoi rimpianti, i suoi incubi, le sue emicranie croniche.
Eppure in quegli stessi anni, la follia di «volare» verso la libertà era riuscita ad altri. Nel 1980, Wolfgang Schmelzer aveva pilotato un monomotore polacco da un club di Lipsia, dove faceva l’istruttore, oltre la frontiera. Più avanti, nel 1989, pochi mesi prima della caduta del Muro, Ingo e Holger Bethke, a bordo di due velivoli ultraleggeri volarono da un campo di calcio di Berlino Est nel cuore di un parco della metà occidentale.
Quattordici anni fa Michael Schlosser è tornato a Dresda. Ora guida i turisti alla ex sede della Stasi, i suoi aguzzini. E viene spesso invitato nelle scuole di tutta la Germania per raccontare la sua storia. Ma il suo vero progetto è un altro. E solo adesso si è deciso a rivelarlo al collega della Berliner Zeitung. Michael Schlosser ha ricostruito la «cosa», questa volta non con materiali di fortuna come allora, ma con roba ultraleggera. Non ha freni, può sollevarsi da terra e, con un po’ di fortuna, può anche atterrare. Vorrebbe provarci, volare sopra l’antico confine della Guerra Fredda, atterrare in Baviera. Ma non ha un brevetto da pilota e la sua macchina volante non ha alcuna licenza. Il club di volo dove fa le prove gli permette solo di portarla alla velocità a cui può teoricamente decollare, ma nulla di più. Eppure lui è convinto: «Io posso volare». Come diceva Shakespeare, «siamo fatti della stessa sostanza dei sogni».